Tra poco più di due settimane terminerà Lost, una delle fiction più amate e controverse della storia della serialità americane. Per cercare di capire meglio l’universo di Lost abbiamo contattato Desmond (Matteo), amministratore di Lost Discovery, uno dei siti più frequentati dagli appassionati della serie (alcuni utenti sono quasi dei cultori!).
Chi è il tipico spettatore di Lost?
Non è così semplice tracciare un profilo ben delineato dello spettatore tipico. Direi chiunque. Fondamentalmente c’è uno zoccolo duro di fan, con un’età che oscilla tra i quattordici e i trent’anni, che vive Lost come qualcosa di quotidiano. Leggono spoiler e notizie, ascoltano la colonna sonora mentre lavorano, collezionano poster e magliette e cofanetti vari, ma ci sono tantissime altre persone che lo guardano, ognuno attratto da un aspetto, dai misteri archeologici a quelli scientifici, passando per i triangoli amorosi, direi che c’è materiale per fare appassionare chiunque. Non a caso è visto da moltissime coppiette e si sa che uomini e donne molto spesso guardano telefilm separati…
Quali sono i punti di forza della serie?
Il primo di tutti sono i misteri. La serie vive di interrogativi che quasi mai hanno una risposta e questo tiene l’interesse acceso. Le vicende sono strutturate in maniera tale da lasciarti sempre qualche nuovo interrogativo sul quale lavorare. Sei sfidato a farti una tua idea nell’attesa di vedere la loro. Quando non ci sono addirittura interazioni attive, dalla Lost Experience alla Lost University. Poi la capacità di miscelare svariati generi, dall’avventura alla fantascienza, senza eccedere con nessuno. Da non dimenticare, infine, la costruzione di veri e propri brand che entrano nell’immaginario comune, dai loghi della Dharma Initiative alle barrette Apollo.
Esistono delle fiction che hanno dei punti in comune con Lost?