L’Agcom ha respinto all’unanimità la richiesta di H3g di commutare le sue frequenze in tecnologia Dvb-H, e quindi valide per l’ormai obsoleto tivufonino, in frequenze Dvb-T e dunque utilizzabili dai grandi network per trasmissioni televisive.
L’Agcom ha respinto all’unanimità la richiesta di H3g di commutare le sue frequenze in tecnologia Dvb-H, e quindi valide per l’ormai obsoleto tivufonino, in frequenze Dvb-T e dunque utilizzabili dai grandi network per trasmissioni televisive.
Mediaset è nuovamente il primo operatore televisivo per ricavi in Italia: la società del Biscione tocca quota 2 miliardi 770,6 milioni e, grazie all’incremento dell’8,1% rispetto allo scorso anno, batte Sky, che cresce dell’1,8% e si attesta a quota 2 miliardi 630,76 milioni di euro. Al terzo posto, anche quest’anno, la Rai che, pur crescendo del 2,5%, si ferma a 2 miliardi e 553,84 milioni di euro. A rivelarlo è la relazione annuale dell’Agcom al Parlamento illustrata ieri dal presidente Corrado Calabrò.
La relazione sottolinea che l’incidenza di Mediaset sul totale delle risorse degli operatori televisivi ammonta al 30,9%, quella di Sky al 29,3%, quella della Rai al 28,4% e quella di Telecom Italia all’1,8% (in crescita del 4,9%). L’insieme degli altri operatori incide complessivamente sul 9,6% dei ricavi (+7,5%). Il totale dei ricavi del settore cresce del 4,5% e ammonta a 8 miliardi e 976,46 milioni di euro.
Corrado Calabrò ricorda:
Agcom ha punito l’eccessiva esposizione mediatica riservata al presidente del consiglio Silvio Berlusconi da Tg2, Tg5, Studio Aperto, Tg1 e Tg4 nella giornata di venerdì 20 maggio con multe da 100mila euro nei primi tre casi e da 258mila euro (il massimo della multa) negli ultimi due casi. L’autorità dice:
le interviste a Berlusconi, tutte contenenti opinioni e valutazioni politiche sui temi della campagna elettorale, ed omologhe per modalità di esposizione mediatica, hanno determinato una violazione dei regolamenti elettorali emanati dalla Commissione parlamentare di Vigilanza e dall’ Agcom.
Non si sono fatte attendere le reazioni. Mediaset in una nota si dice allibita:
Il passaggio del sistema televisivo italiano dall’analogico al digitale, si arricchisce di una nuova e importante fase. L’Agcom sta infatti avviando le procedure per l’assegnazione delle frequenze del cosiddetto dividendo digitale esterno, ovvero quelle che si sono liberate proprio a seguito della trasmigrazione delle emittenti tv sul Dtt. Nel computo dovrebbero essere comprese anche quelle utilizzate dal ministero della Difesa. La gara, come già sostenuto in passato dal presidente Corrado Calabrò sarà:“in linea con quanto avviene in tutta Europa, la procedura pubblica sarà del tipo beauty contest” attraverso un’asta e relativa acquisizione da parte del miglior offerente. Per l’occasione il Governo prevede di incamerare qualcosa come 2,4 miliardi di euro, per questo motivo l’Autorità ha proposto che venga creato un Comitato di ministri con il compito di disciplinare la gara. Da considerare che mentre all’estero il passaggio al digitale terrestre è servito ai Governi per incamerare fior di quattrini dalla vendita delle frequenze, negli Stati Uniti 19 miliardi, in Germania 8, in Italia si è deciso di ricevere appena l’1% sul fatturato annuale contro il 4-5% di altri Paesi, proprio in un momento in cui la congiuntura economica suggerirebbe di sfruttare al massimo ogni fonte possibile di introito.
La messa all’incanto delle frequenze analogiche verrà gestita dal ministero dello Sviluppo economico, ma secondo la Legge di stabilità dello scorso dicembre entro 15 giorni dall’entrata in vigore l’Agcom deve avviare “le procedure per l’assegnazione di diritti d’uso di frequenze radioelettriche da destinare a servizi di comunicazione elettronica mobili in larga banda” e di “altre risorse eventualmente disponibili” quelle del ministero della Difesa appunto con “l’obiettivo di garantire ancora maggiore innovazione e concorrenza al settore delle comunicazioni elettroniche”. C’è da dire inoltre che l’Autorità sembra intenzionata a non garantire a tutti la possibilità di partecipare all’asta, all’art 6 del documento di consultazione pubblica che stabilisce le modalità di assegnazione del dividendo si parla chiaramente di soggetti “in possesso dell’autorizzazione generale di operatore di rete televisivo”, limitando di fatto il numero dei partecipanti ai soliti noti e non a qualche nuova “entità” intenzionata all’acquisto.
Duole dover tornare sui soliti argomenti, ancor di più se l’oggetto della disquisizione è la tv di Stato dove a quanto pare sono saltati tutti gli schemi e la logica aziendale appare quantomeno discutibile. I segnali che giungono dal fronte sindacale sono tutt’altro che rassicuranti. Il prossimo 19 luglio la Slc Cgil ha proclamato uno sciopero:“contro un piano industriale che colpisce e mortifica solo ed esclusivamente i lavoratori, senza porre un freno a sprechi e nomine inutili, contro i tagli indiscriminati, le esternalizzazioni e le svendite del patrimonio. La Rai, spiega la Slc, ha presentato alle organizzazioni sindacali una proposta di conciliazione irricevibile, priva di punti fermi e di impegni concreti da parte dell’Azienda ad interrompere l’attuazione unilaterale del piano industriale“.
“Stanno massacrando la Rai“. Ha dichiarato di recente Pierluigi Bersani, nel presentare una proposta di legge del Pd per la riforma del servizi pubblico radiotelevisivo.”Siamo ad una situazione veramente critica per ciò che riguarda il pluralismo e la prospettiva industriale“, ha aggiunto il segretario del Pd. Pare proprio che i buoni propositi enunciati dal direttore generale non abbiano convinto nessuno, di recente Mauro Masi ha affermato che:”il Piano industriale 2010-2012 predisposto è in grado di portare al sostanziale pareggio a fine 2012, equilibrio realizzato con forze Rai, senza interventi sul canone. Nel triennio, ha spiegato Masi, 100 milioni di euro saranno ricavati attraverso le modifiche al modello pubblicitario, quindi gli altri 100 dalla riduzione costi e dall’incremento dei ricavi (questi nella misura prevedibile di 32 milioni di euro l’anno).“Questo è un Piano industriale perfettamente gestibile da un’azienda come la Rai che ha un grande volume d’affari”.
Si dice che per conoscere il diavolo bisogna andarci a cena: alla luce dei recenti fatti che vedono protagonista dell’insolito convivio da una parte il Governo sotto forma di decreto Romani (in discussione in queste ore alla Camera) che dovrebbe tra l’altro dettare nuove regole su internet e dall’altra il colosso Google proprietario di YouTube da più parti accusato di ledere il diritto di copyright. Bisognerebbe stabilire intanto chi cela sotto mentite spoglie l’aspetto demoniaco, perché alla miope attenzione dell’opinione pubblica italiana si sta consumando uno scandalo non da poco all’insegna del più bieco business.
Che internet stia sullo stomaco ai Governi incluso il nostro non è una novità, già nel 2008 quando l’Italia si apprestava a ricoprire per la terza volta la presidenza del G8 il premier, Silvio Berlusconi dichiarava: “Il G8 ha già come compito la regolazione dei mercati finanziari in tutte le nazioni; ho visto che per quanto riguarda internet manca una regolamentazione comune. Porteremo sul tavolo una proposta internazionale, essendo internet un forum aperto a tutto il mondo.” Regolamentare o se volete imbrigliare sotto una qualsivoglia legge un canale d’espressione che fa della libertà la sua migliore prerogativa.
Problemi digitali e satellitari: nel primo caso c’è uno scontro in atto per la posizione dei canali sul telecomando, nel secondo c’è la presa di posizione del presidente dell’Agcom Corrado Calabrò, perché la Rai rimanga su Sky.
Partiamo dalla questione satellitare. Calabrò in commissione vigilanza ha fatto sapere che, se Sky in una zona è indispensabile, la Rai deve starci nel periodo transitorio e deve limitare l’uso del criptaggio delle sue trasmissioni. Nel 2012, ovvero alla fine del periodo sopracitato, se la copertura fosse assicurata da TivùSat, allora la Rai potrà sganciarsi.
Sky nel 2008 è diventato il secondo operatore televisivo italiano per ricavi con 2.640 milioni di uero, alle spalle della Rai (2.723 milioni di euro) e davanti a RTI (Mediaset, 2.531 milioni di euro). A rivelarlo è stato il presidente dell’Agcom Corrado Calabrò che ieri ha presentato la sua relazione annuale:
La Rai è ancora la principale media company italiana con oltre 2,7 miliardi di euro di ricavi, anche se in decremento rispetto al 2007 a causa della flessione della pubblicità (-3,6%). Rai, Sky e RTI (che ha avuto un calo della pubblicità dello 0,3%) hanno una posizione simmetrica in termini di ricavi complessivi del settore televisivo. All’interno di essa RTI e’ leader della pubblicità e nuovo concorrente nelle offerte a pagamento; Sky e’ di gran lunga leader nella pay tv e nuovo concorrente nella pubblicità; Rai mantiene le classiche posizioni attraverso una quota di rilievo nella pubblicità e prelevando le risorse residue dal canone di abbonamento.
Le reazioni di Mediaset e Sky non si sono fatte attendere: Fedele Confalonieri, presidente della società del biscione, dice:
Dal 30 giugno arrivano le nuove disposizioni sull’informazione relative alle vicende giudiziarie: è stato approvato il Codice di autoregolamentazione in materia di rappresentazione di vicende giudiziarie nelle trasmissioni radiotelevisive.
Grazie alle nuove disposizioni: non ci saranno più ricostruzioni di processi in corso, ma soltanto i racconti di cronaca; si garantirà la chiarezza tra i fatti e i commenti, quella tra indagato, imputato e condannato, quella tra accusa e difesa; si rispetteranno i diritti inviolabili della persona; l’informazione verrà data attenendosi alla presunzione di non colpevolezza dell’indagato e dell’imputato; bisognerà controllare la verità dei fatti narrati attraverso un’accurata verifica delle fonti.
Basta dunque ai processi fiction, o ai processi trasferiti dalle aule di giustizia al piccolo schermo. L’Agcom, che ha lavorato sul progetto per ben 18 mesi, comunica che:
Il sistema televisivo in toto, nella fattispecie quello italiano è giunto ad una svolta epocale, il tradizionale concetto di diffusione televisiva con l’avvento del digitale terrestre viene stravolto a favore di una migliore qualità del segnale unita a una maggiore offerta di cui l’utente non potrà che beneficiarne. Finalmente da qualche giorno l’Italia può contare anche su regole certe circa l’intero processo di digitalizzazione del Paese. Ricorderete come nel 2006 la Commissione europea avviò una procedura d’infrazione, ritenendo che la legislazione italiana non soddisfacesse gli obblighi imposti dalle norme Ue sulla concorrenza, ravvisando delle restrizioni ingiustificate alla prestazione di servizi di radiotelediffusione e vantaggi agli operatori analogici esistenti.
Ora in seguito all’emanazione della delibera per il passaggio al digitale del sistema televisivo, l’Unione Europea ha sospeso la procedura di infrazione contro l’Italia. Lo ha annunciato il presidente dell’Autorita’ per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom) Corrado Calabro’, che ha aggiunto “Le risorse trasmissive sono un bene pubblico destinato a soddisfare l’interesse della collettività. In questi anni è sempre stata auspicata una definizione di regole che garantissero la certezza del diritto e il rispetto dei principi costituzionali e comunitari nell’interesse del pluralismo e della concorrenza. Il percorso avviato va in questa direzione. I successivi atti che adotteremo serviranno a completare quella che mi auguro sia la cornice giuridica di riferimento per il futuro sistema televisivo italiano con una regolamentazione ben diversa dalla connotazione incerta che essa aveva assunto in passato.”
Ma cosa sancisce la delibera che ha tolto l’Italia dalle acque limacciose e scomode in cui si era cacciata? Le 21 reti nazionali in tecnica digitale (DVB-T) saranno così suddivise: 8 reti saranno destinate alla conversione delle attuali reti analogiche; 8 reti saranno dedicate alla conversione in singola frequenza delle attuali reti digitali esistenti che oggi utilizzano il sistema della multifrequenza; all’esito della conversione dell’attuale sistema televisivo nazionale risulterà disponibile un dividendo nazionale di 5 reti. Questo dividendo, spiega ancora l’Agcom: “Verrà messo a gara con criteri che garantiranno la massima apertura alla concorrenza ed alla valorizzazione di nuovi programmi. Alla gara saranno ammessi tutti i soggetti operanti nello spazio economico europeo”.