Raoul Bova sarà uno dei protagonisti di Treasure Guards, un tv movie da 4 milioni di dollari coprodotto da Rti Mediaset, Tandem Communication, Film Africa, Prosieben/Sat1, diretto da Iain MacDonald, che andrà in onda su Canale 5 nella prossima stagione.
Il film, definito “Dan Brown incontra Indiana Jones nel deserto del Sudafrica”, racconta la storia della guardia del corpo papale Angelo, un uomo che entra a far parte dei Guardiani del Tesore, un èlite di guardie scrupolosamente selezionate, pronte a sacrificare la propria vita per proteggiere reliquie religiose e recuperare sacri cimeli trafugati. Nel film il nostro eroe dovrà recuperare il magico, potente e pericoloso anello di re Salomone.
Raoul Bova spiega (fonte Il Corriere della sera):
E’ uno strano oggetto che è dotato di un potere enorme: se cadesse nelle mani dei cattivi, potrebbe tramutarsi in un’arma letale: se invece viene recuperato dalla Chiesa, può trasmettere l’energia positiva di Dio. Insomma si tratta dell’eterna lotta tra il bene e il male, tra angeli e demoni, una favola dove all’adrenalina si mescola il romanticismo.
L’attore, che reciterà accanto ad Anna Friel (che interpreterà l’archeologa Victoria), aggiunge:
Sono abituato ai film d’azione, ma questo è particolarmente faticoso. E pericoloso! Abbiamo girato una scena dove dovevamo affrontare un nutrito gruppo di scorpioni: per carità, tutto si è svolto in massima sicurezza, ma se per caso inciampavamo e finivamo là in mezzo, francamente non voglio neanche immaginare cosa sarebbe potuto succedere. Non ho letto Il codice da vinci, ma il mio personaggio riprende piuttosto l’ironia del film su Indiana Jones e la disinvoltura di uno 007 che agisce nelle alte sfere ecclesiastiche.
Bova, che ci tiene a sottolineare l’importanza di una coproduzione internazionale per espandere il mercato televisivo di Mediaset, spiega le difficoltà che ha riscontrato nel recitare in inglese:
Entrare in una coproduzione internazionale, con sceneggiatori, regista e attori stranieri, con una mentalità a volte anche molto distante dalla nostra, non è sempre agevole. E non solo perché recitiamo in inglese e il mio accento italiano, in mezzo a colleghi quasi tutti di madre lingua spicca maggiormente. Ma è soprattutto là descrizione del mio personaggio a darmi delle preoccupazioni: non è cucito addosso a me, ma è la rappresentazione di un italiano visto da uno sceneggiatore di cultura anglosassone. Ciò significa entrare in certe atmosfere, per esempio in un certo tipo di umorismo, in un genere di battute che non mi sono proprie e con cui a volte faccio fatica ad entrare in sintonia.