La pioggia sul fuoco, e il fuoco rimane acceso. Siringhe conficcate dove non dovrebbero, simbolo delle sconfitte passate, speranza vaga di rivincite future. Un gruppo, una Squadra, compatta mentre fissa un unico punto all’orizzonte, uniti e separati dal loro essere poliziotti e dal loro essere umani, dalle loro debolezze.
Una parola nuova, nel centro di Napoli: Spaccanapoli. Eloquente, quasi onomatopeica, come un lamento violento verso una situazione non più sostenibile, o semplicemente una scialuppa di salvataggio, un salvagente al quale attaccarsi come ultima speranza.
Un organico funzionale, una squadra di Falchi, in tutti i sensi. Poliziotti navigati e motorizzati, Sfrecciano ad altezza uomo nei vicoli di Napoli, molto esperti di strada e meno di burocrazia e procedure, per i Falchi contano i fatti.
La preda puntata dai Falchi è grande, pericolosa, è la Camorra con la C più maiuscola possibile, bisogna stare attenti. I Falchi sono scattanti e motorizzati, nuotano nelle stesse acque in cui nuotano i clan, gli informatori, sono immersi nel nemico fino al collo, forti di un’esperienza che si acquisisce scommettendo sul proprio lavoro, osando , sfruttando le stesse appendici del nemico, i piccoli delinquenti, gli informatori.
Mentre sono appostati aspettano con un amaro sorriso, finalizzato a non impazzire nel cercare di comprendere la modalità giusta di affrontare e risolvere un problema così grave che la città sembra non poter più tornare indietro.
L’inizio coincide, come spesso accade, con una fine. Il terribile omicidio del poliziotto Ciro de Rosa. E’ l’occasione per l’inaugurazione del commissariato Spaccanapoli, come una brusca alzata di testa di una Napoli che ha subito fin troppi scacchi, come a dire che ancora non siamo arrivati allo scacco matto.
Il crimine stavolta si affronta faccia a faccia, è questa l’intenzione del vicequestore Paola Ricci (Lisa Galantini) proveniente da Genova, modalità che fa fatica a inserirsi in un contesto in cui le strategie di lotta al crimine sono tutte indirizzate verso il contenimento.
Ed è proprio l’Ispettore Superiore Sergio Vitale (Rolando Ravello), capo della sezione dei Falchi, cresciuto e formato “sul campo”, che oppone una visione meno frontale nell’affrontare il crimine a quella del vicequestore; i contrasti tra i due emergono fin dalla prima puntata: vitale è dove non dovrebbe essere e fa quello che non dovrebbe fare, almeno secondo il vicequestore Ricci.
Ci troviamo di fronte ad un antagonista di qualità, Luigi Profeta (Duccio Giordano),capo del clan che controlla il centro storico della città, giovane ma molto esperto, rispettoso – per quanto possa esserlo un camorrista – dei poliziotti, i suoi occhi tradiscono un’espressione calma pre-tempesta ed ha, già dalla prima puntata, contatti diretti con Vitale, basati su un duro confronto diretto, fatto di scambi di informazioni e reciproche accuse.
Senza troppi convenevoli la serie decolla con un’appassionante caccia all’uomo alla ricerca di colui che ha ucciso il povero de Rosa; una caccia all’uomo con gli occhi infuocati dalla rabbia per la perdita dell’amico poliziotto, in cui Vitale e l’Ispettore Vito Sorrentino (Pietro Taricone), poliziotto dall’indole burrascosa e incline alla lite, si buttano senza pensarci su un attimo, come in un bungee jumping compulsivo.
La serie è costituita da 44 puntate di 50 minuti ciascuna, girata in alta definizione, prodotta da RAI FICTION Grundy Italia S.p.A e Centro di Produzione Rai di Napoli ideata da Claudio Corbucci, e va in onda il martedi alle 21 su Rai3. Le musiche originali sono del violinista e compositore partenopeo Lino Cannavacciuolo, e rappresentano un “tappeto sonoro” di notevole impatto, accompagnando egregiamente le scene, soprattutto nelle fasi d’azione.
Si tratta di una serie tutta italiana, italiana nel riuscire a farci sentire il sapore dell’asfalto bagnato durante un inseguimento in moto, italiana nella plausibilità dei dialoghi tra i personaggi, italiana nel raccontarci cose vere.
Le vicende sono drammi realistici e reali: una donna incinta con gravi problemi di dipendenza da sostanze, sotto interrogatorio, vede l’epilogo della sua ostilità violenta verso gli agenti nientemeno che nella rottura delle acque; si sentono sapori e dissapori tra colleghi, si percepiscono simpatie e antipatie sul posto di lavoro, si sente il lutto nell’aria, quello passato, e quello potenziale, del futuro prossimo, sempre dietro l’angolo pronto per coglierci di sorpresa, si sente la paura.
C’è un’ottima cura dei personaggi, si ha l’impressione di trovarsi in una serie in cui la trama si snoda e prende forma attraverso la narrazione delle vicende personali dei protagonisti, fortemente connotati dal punto di vista caratteriale. Ottimo il bilanciamento del “dinamico duo” Sorrentino/Vitale, nell’aiutarsi a elaborare il doppio lutto (morte e drammatiche scoperte postume) per la scomparsa di Ciro de Rosa.
Alla fine della giornata, a sera, si torna a casa stremati, ci si guarda intorno, si cerca di affogare negli occhi innocenti dei figli i drammi vissuti durante il giorno, ma non c’è mai tempo per staccare, e il giorno dopo arriva sempre troppo presto, sputandoci in faccia le sue drammatiche e schiette verità.
Si tratta di una squadra nuova, che funziona, in lotta contro un male vero e subdolo, e che è riuscita, fin dall’inizio, a suscitare in me quel fastidio ipocrita che viene quando viene ribadita per l’ennesima volta l’esistenza di situazioni e di eventi che preferiremmo rimuovere.