Come volevasi dimostrare il cammino verso lo switch off televisivo, ovvero il passaggio dal sistema di trasmissione analogico al digitale che in queste ultime settimane ha coinvolto il nord Italia, è stato irto di inconvenienti di ogni tipo, in un concatenarsi di eventi del tutto speculari a quello che era accaduto nelle regioni ormai all digital come il Lazio e la Campania. E’ evidente che una trasformazione epocale come questa qualche complicazione della prima ora l’avrebbe generata, ma come sempre accade dalle nostre parti abbiamo saputo dare quel tocco in più frutto di pressapochismo e scarsa informazione di base, che ha fatto la felicità soprattutto degli antennisti, connotando come vittima sacrificale il solito ignaro utente.
Lo switch off nell’Italia del nord è iniziato lo scorso 25 ottobre interessando la cosiddetta Area Tecnica 3 ovvero Lombardia, Piemonte Orientale, le province di Piacenza e Parma per un totale di 5,3 famiglie. Al momento è in corso la seconda fase fino al 15 dicembre che coinvolge le Aree Tecniche 5,6,7: il resto dell’Emilia Romagna, Veneto e Friuli Venezia Giulia (4,2 milioni di famiglie). I disservizi, che hanno visto protagoniste loro malgrado soprattutto le persone anziane, sono sempre gli stessi: problemi di ricezione, canali spariti, schermo “nero”, gli utenti Mediaset Premium non hanno potuto fruire dei servizi a pagamento, tanto che le associazioni dei consumatori nella fattispecie Altroconsumo ha richiesto a Mediaset l’elargizione di un bonus di risarcimento. Inconvenienti di ogni tipo che la recente approvazione del piano Agcom sulla posizione dei canali sul telecomando digitale ha solo parzialmente mitigato.
In molti casi i problemi sono derivati dalla presenza di filtri negli impianti condominiali, in passato installati per evitare interferenze e che ora con il nuovo regime digitale, avrebbero dovuto essere rimossi, cosa non avvenuta in tempo utile, risultato: gli antennisti si sono ritrovati con un surplus di lavoro e un’agenda zeppa di impegni fin oltre l’inizio del nuovo anno, per la gioia delle loro tasche ma non certo degli utenti costretti a sborsare per ogni intervento minimo 70 euro. Momento topico della transumanza digitale è stato lo scorso 26 novembre quando è stata la volta della città di Milano: “un disastro”, secondo il sindaco del capoluogo lombardo Letizia Moratti che ha attivato una squadra di 80 tecnici con il compito di supportare gratuitamente chi avesse problemi di ricezione.
Come se non bastasse a complicare il pasticciaccio brutto del digitale, ci si è messo pure il Governo. In un recente articolo de Il Sole 24 ore, si fa notare che il Ministero dello Sviluppo Economico ha assegnato in Lombardia anche dieci canali che gli accordi internazionali siglati a Ginevra davano alla Svizzera. Non solo: sono stati assegnati altri sei canali non utilizzati in Canton Ticino, ma che il Piano di assegnazione dell’Agcom invitava a non attribuire in Lombardia per evitare interferenze con le tv regionali del Veneto o dell’Emilia Romagna. Tutti questi canali sono stati dati alle emittenti locali. Probabile che in futuro non troppo lontano le suddette locali avranno problemi a non finire.
Alla faccia del maggior numero di canali e quindi di una offerta consistente di cui il cittadino dovrebbe avvantaggiarsi, proprio le realtà locali sono destinate a fare la fine dell’agnello sacrificale. Di recente l’Associazione Tv Locali FRT e l’Associazione Aeranti-Corallo sono uscite da DGTVi (Associazione per lo sviluppo della tv digitale in Italia), accusata di non tutelare gli interessi proprio di quelle entità locali che dovrebbe rappresentare. Digitale terrestre per molti ma non per tutti.