Al Festival di Sanremo 2010 saranno ammesse le canzoni in dialetto: la proposta fatta l’estate scorsa dal Presidente del Consiglio Comunale Marco Lupi, secondo indiscrezioni de La Repubblica e del Corriere della Sera, è stata accettata (la conferma dovrebbe arrivare lunedì). Nell’articolo sei del regolamento è stata inserita una clausola che autorizza la partecipazione delle canzoni in dialetto nella competizione canora, in quanto, si precisa, che si considerano appartenenti alla lingua italiani, quali espressioni di cultura popolare, anche le canzoni in lingua dialettale.
Soddisfatto Marco Lupi che ha affermato (fonte AGI):
l’importanza delle lingue territoriali, è stata sottolineata anche da artisti di fama nazionale e in una rassegna canora nazional popolare come il Festival di Sanremo, sono certo che l’introduzione del dialetto sarà in grado di aumentare il livello culturale e artistico dell’evento. In questi mesi mi sono sentito parecchie volte con Mazzi e sono contento che sia stata sottolineata l’importanza delle cosiddette lingue municipali.
Jacopo Venier, responsabile della comunicazione del Pdci, commenta:
Dalla Lega Nord propaganda fine a se stessa. Il partito di Bossi si arroga meriti che non ha. È da tempo che i dialetti, le lingue territoriali, fanno parte del bagaglio culturale della musica e della canzone italiana. È da decenni che cantautori e non, si pensi per esempio a Pierangelo Bertoli, Fabrizio De Andrè, Edoardo Bennato, Enzo Jannacci, Roberto Murolo, Francesco Guccini, Pino Daniele, Peppe Servillo, Nino D’Angelo o gruppi come i Tazenda, che proprio a Sanremo si sono esibiti cantando per lo più nell’idoma logudorese della Sardegna settentrionale, hanno cantato e cantano in dialetto. La Lega scopre l’acqua calda e si vende per sua una cosa che già esiste, a dimostrazione che la realtà è più avanti persino della propaganda politica.
Il ministro delle politiche agricole Luca Zaia ribadisce (fonte La Stampa):
E’ un passo importante per la valorizzazione di queste lingue che è sempre stata, per noi della Lega, molto più che una provocazione. A differenza di quanto hanno sostenuto e sostengono ancora oggi certi passatisti, scandalizzati dall’idea di aprire le scuole e la Rai agli idiomi del territorio, la lingua è un corpo vivo. Tutelare quelle materne significa ravvivare ogni giorno, con orgoglio, la memoria, la cultura, la storia dei singoli territori. Significa difenderne l’identità.
La FIMI è contraria all’idea all’ide del dialetto al Festiival. Enzo Mazza lo ribadisce:
Si è mai visto pretendere di trasformare la mostra del cinema di Venezia in un festival del cinema dialettale? Esistono decine di eventi e festival in Italia utili per salvaguardare le realtà locali e l’industria musicale, in particolare, da sempre produce anche artisti che cantano in dialetto, ma il festival della canzone italiana dovrebbe puntare ad altri obiettivi di più ampio respiro invece di rinchiudersi su se stesso. I nostri politici dimostrano come sempre una grande distanza dai problemi reali del settore musicale che si trova in una fase di grande crisi strutturale. Oggi, nell’era del web, dove tutti possono accedere alla musica a livello globale, si dovrebbe favorire l’esportazione della musica italiana nel mondo tramite, ad esempio una grande vetrina televisiva del Made in Italy invece di trasformare Sanremo in una festa di paese.
Non è favorevole nemmeno Little Tony:
Ormai siamo alla frutta. Non ho nulla in contrario contro il dialetto il problema è che non ci sono più belle canzoni e ormai si inventano di tutto.
A favore della proposta ci sono tra gli altri milanese Paolo Limiti, Mauro Pagani, Nino D’Angelo, Peppe Servillo, il premio Nobel Dario Fo (“Era ora”), Davide Van de Sfroos (“Si è abbattuta una diga culturale”) e Giordano Sangiorgi, delle etichette indipendenti, (“Siamo felici”).
Concludendo: le canzoni dialettali ci sono sempre state, quindi non bisogna fare inutili polemiche se i leghisti festeggiano, perché va riconosciuto il loro merito/demerito di averlo fatto mettere nero su bianco; è inutile dire che la musica italiana è alla frutta, perché non è la decisione di far cantare qualche pezzo in dialetto che la porta ad essere in questo stato; è sbagliato affermare che con il dialetto si trasforma il Festival in una festa di paese, perché si sminuiscono cantanti e canzoni che hanno fatto la nostra storia.
L’importante è che gli organizzatori, qualora il direttore artistico dovesse scegliere un brano in dialetto, trovino il modo di farlo arrivare a tutti gli italiani (sottotitoli, spiegazione del testo), perché i valori che esprime un cantante nella sua “lingua territoriale” possano essere condivisi dal pubblico, trasformando un momento di apparente divisione in uno di unione nazionale (i messaggi cantanti possono essere universali a prescindere dall’idioma usato).
In un momento in cui si parla di globalizzazione e la nostra amatissima Italia sta perdendo quel primato che aveva anche nella canzone popolare e in particolare faccio riferimento ai tempi in cui la nostra identita culturale faceva la differenza con altri paesi del mondo, stiamo perdendo sempre più la nostra identità. Oggi e tutto un copia e incolla, cioè non ci sono piu giovani proiettati verso una ricerca culturale popolare……. la globalizzaziuone ci ha totalmente impregnati e abbiamo perso la vera purezza che avevamo nella canzone popolare. come esperto e studioso non posso che condividere di valorizzare e di rivitalizzare anche le peculiarità dei luoghi da dove proviene l’artista. Invitare i giovani a fare ricerca seria non come fenomeno di moda ma come fenomeno culturale da studiare dandogli un tocco di innovazione non dimenticando che la nostra penisola italiana e stata dominata da tanti popoli e quindi il nostro dialetto, la nostra musica, la danza e la cucina sono più che mai ricchi perchè contaminati da tante inflessioni etniche.