Il signor Ken è un uomo piuttosto nerboruto dall’età indefinibilmente inferiore ai 40 anni, ed è lui a decidere i nostri silenzi. Entra a malapena nella mia poltrona dei pazienti, mi guarda pensando chi sa cosa, ed io cerco di non distrarmi troppo guardando il suo singolare abbigliamento.
Quello che porta in seduta è un marchingegno mentale che non è più in grado di piangere. Sentire quelle poche parole riferirsi a un aspetto che sembra così lontano dalla sua vita per un momento mi rende perplesso, e sempre più curioso.
Mentre parla non gesticola, muove a malapena la bocca. Ha una silhouette così statica che sembra quasi bidimensionale, un aspetto di chiusura, di “rannicchiamento psicologico” che ho già visto in molti pazienti.
Guardando indietro dice di vedere solo macerie che si ammassano su altre macerie; gli chiedo di spiegarmi meglio cosa intende. Dice che lui si sente una specie di spazzino del mondo. Dice da molti è considerato un giustiziere, addirittura un eroe, ma afferma anche di non rispecchiarsi in modo nitido nel ruolo del salvatore.
Quello che ancora vuole, sono le spiegazioni, spiegazioni su come uno impara il modo giusto di sentirsi nelle varie situazioni. Da quello che dice, percepisco una rigorosa, e a volte rigida, elaborazione razionale del suo passato e del suo presente.
Sembra quasi uno strumento guidato da un ideale , piuttosto che una persona guidata da un desiderio. Dice di essersi allenato duramente in gioventù, dice di avere dei ricordi di un tempo in cui le cose erano molto diverse.
A dire il vero, io stento a comprendere le sue parole. Non capisco se fa riferimento a qualche evento in particolare; provo la strada del lutto, e gli chiedo delle sue perdite. Non fa nomi, ma lo spostarsi repentino del suo sguardo sul pavimento sotto la mia scrivania parla chiaro.
Non voglio insistere. Non so perché, ma sento che potrei fargli del male, usando certi termini, e parlando di certe cose in un certo modo. Deve essere una persona molto paziente, che si arrabbia solo per cose importanti, ma quando si arrabbia…
Il blocco che porta su di sè sembra essere composto principalmente dalla frustrazione data dal non poter fare i miracoli, nonostante i suoi superpoteri. Del resto il Redentore stesso non avrebbe alcuna voglia di appoggiare il piede su questo suolo arido, uguale e radioattivo.
Chi cerca di rialzare la testa, di pensare a come stavano le cose prima che il mondo diventasse quello che è ora, non fa altro che allacciare le proprie speranze, se pur strette, a un pezzo di legno marcio che galleggia in un torbido oceano.
Ma forse no. Forse, se lui tiene ancora la schiena diritta e lo sguardo teso, forse io sono solo uno stupido pessimista, e in qualche modo, tutto può ricominciare da capo. Forse il suo sguardo, che all’inizio vedevo come colmo di rigore e di odio pianificato per ciò che gli è stato portato via, forse non è perso nel niente, ma fisso su un orizzonte più lontano del palmo di naso che mi separa dal massimo orizzonte che io riesco a vedere.
Forse sarà facile per lui spiccare un salto dalla cima di un palazzo, atterrare senza battere ciglio e salvare le persone da chi vuole fare solo del male, salvando anche i cattivi da loro stessi, dalla loro natura snaturata.
Beviamo insieme un pò d’acqua, un pò della poca che è rimasta, dato che i pozzi qui da noi si esauriscono in breve ultimamente. Non ho speranza di aiutarlo a ritrovare la forza di versare delle lacrime, perché io stesso non voglio che lo faccia, almeno per il momento.
Io, i suoi amici, tutti abbiamo bisogno che lui continui a soffrire,e di conseguenza a lottare, perchè la sua sofferenza rappresenta la nostra speranza. Un tempo era facile fare tantissime cose, l’oggi è difficile e da vivere giorno per giorno, tanto che la vita è diventata uno sbalzo d’umore dai ritmi circadiani e quasi controllabili.
Riusciremo mai ad abituarci alla sabbia portata dal vento?