Il paziente mi fissa in silenzio, ed io faccio lo stesso. Non ho alcuna intenzione di interrompere quel silenzio, non so se più per timore o per rispetto. Lo sguardo intenso del signor Bauer mi blocca. Mi chiedo dove abbia passato gli ultimi anni della sua vita, come sia riuscito a costruire la combattività del suo sguardo, forse respirando l’aria do mondi lontani.
Ha un’aria veramente stanca, stanchissima, non ho mai visto una persona così bisognosa di riposo. Sembra che non dorma da giorni, poi dal suo sguardo capisco che la sua è una stanchezza atavica, e non è certo la carenza di sonno ad essere in cima allo stack dei problemi della sua vita.
Prendo coraggio, prendo l’iniziativa, e lui istintivamente mi intercetta e mi precede: una sorta di difesa personale verbale perfettamente applicata. L’iniziativa intrapresa dalla sua voce mi mette tuttavia a mio agio. Si esprime in modo fluente, le parole escono dalla sua bocca come portate da un fiume in piena, mi chiedo da quanto tempo parli con qualcuno.
Il paziente lamenta forti mal di testa ed episodici forte “crisi”. Quando i pazienti parlano di crisi solitamente non sanno di cosa parlano, se non delle loro sofferenze raggruppate sotto la cupola di un unico termine.
Gli chiedo di darmi dei dettagli. Lui risponde che non può darmene. Sul momento rimango un po’ spiazzato e dico a me stesso che si tratta di una di quelle personalità istrionico-narcisistiche con le quali non caverò un ragno dal buco. Dovrò chiedergli tutto e lui mi farà pagare a peso d’oro ogni sua frase. Ma come spesso accade mi sbaglio. Basta aspettare e ascoltare, aspettare e ascoltare.
Non può dirmi niente a causa del suo lavoro. Lavora per il governo, credo, o comunque fa qualcosa di segretissimo. Mi dice che a volte gli capita di rimanere sveglio per 24 ore di seguito, a volte per lavoro, a volte perché non riesce a smettere di pensare. Gli chiedo di focalizzarsi sui suoi stessi pensieri, di cercare di capire cos’è che lo tiene sveglio. Gli dico anche che non è sano rimanere svegli per lavoro per 24 ore, e lui con un sorriso amaro che gli piega un lato della bocca, scuote la testa con la voce e mi dice di lasciare perdere.
Quando il lavoro deve essere fatto, deve essere fatto. Questa frase così connotata di doverizzazione mi porta a guardare con luce diversa la persona che ho davanti. Mi dice di lavorare in prima linea, a contatto, nel bene e nel male, con la gente. Insomma, lavora al pubblico, ma mi fa capire che non vende prodotti. Nel bene e nel male, sono convinto che lui abbia ucciso qualcuno.
Comincia a delinearsi l’immagine di una persona che subisce una sorta di violento burnout. Non dorme perché pensa. Pensa e ripensa a quello che fa, ripensa allo stato di fuga perenne in cui si trova, ripensa agli occhi delle persone che vede cadere di fronte a sé. Vive accompagnato da un fortissimo e continuo disturbo post-traumatico da stress, e sento che lo alimenta col suo lavoro di giorno in giorno.
Gli chiedo se ha mai vissuto o desiderato vivere una parvenza di vita normale. Mi dice che non ci pensa. Non vuole pensarci perché non può pensarci, non vuole nemmeno prestare l’immaginazione a ciò a cui non potrebbe mai arrivare.
Presenta alcuni tratti depressivi, come questa percezione di inesorabilità del suo destino, oppure effettivamente è costretto a non cambiare mai? Viene da chiedersi quale sia la verità. Ma so di non poter indagare troppo sui fatti, quindi cerco un altro modo. Che dilettante, non gli ho ancora chiesto della famiglia e degli affetti. La curiosità circa l’attività che svolge mi logora le viscere.
Aveva una moglie, ma è stata uccisa. Ha una figlia, ma al momento non la può contattare. Non si può dire che la sua cerchia di affetti sia nutrita e presente. Ha qualche amico, ma non li considera tali. Ha bisogno di fare rewind su tutto, di modificare le sue scelte a monte, ma non si può. Il suo movente è fortemente cognitivo-comportamentale. Mi spiego meglio. E’ uno che guarda avanti, che guarda oltre.
Il sacrificio momentaneo è niente se si considera l’obiettivo finale. E’ uno che ha temerarietà, pazienza e che sa essere lungimirante. E’ uno che se volesse perdere venti chili per poi riperderli per poi riprenderli ancora, o se dovesse cominciare a fumare o a bere smodatamente per poi smettere, non avrebbe alcun problema.
E’ uno che i problemi li risolve alla radice, un connubio tra una personalità distruttiva e l’uomo più doverizzato del mondo. Non teme la morte, né la sua né quella degli altri. L’unico dubbio che mi viene è che il Sublime per cui lotta, il fine ultimo, il punto luminoso in fondo, che buca l’orizzonte, sia quello giusto oppure non lo sia affatto. Magari lui è semplicemente un assassino. Ben lungi da me l’idea di dirgli queste cose in faccia. Mi aspetta un lungo lavoro.
Che imbarazzo non riuscire a rimettere insieme i pezzi, siamo solo alla prima seduta. Una personalità così complessa richiederebbe una terapia di qualche mese. Glie lo dico, lui fa una risatina ironica, si alza e mi dice che non ha tempo, mi stringe la mano, e aggiunge che se non è una cosa che si risolve in ventiquattro ore non fa per lui. Lo lascio andare senza dire niente.
Affascinante la chiave di lettura che hai fornito. Guardando la serie mi chiedevo come potesse attrarmi così in tal modo l’ennesima serie tv, sebbene confezionata ad arte. Grazie alla tua analisi ho compreso che in realtà Jack Bauer altri non è che lo scrutatore del nostro inconscio e dei nostri più reconditi timori. Una sorta di psicanalisi mediatica collettiva…
Jack è al momento il mio personaggio preferito! Mi piacerebbe tantissimo leggere di qualche altra seduta con lui, magari dopo aver passato qualche altra “serie di 24 ore di insonnia forzata”. Sarebbe bello che lui si aprisse mostrando almeno parte delle sue “bestie” interiori. La sua psicologia è in effetti molto complessa pur essendo apparentemente molto semplice. Lui sa sempre cosa fare, prende decisioni con la naturalezza di chi deve bere un semplice bicchiere d’acqua, a parte il fatto che quasi tutte sollevano problemi di ordine etico, morale, psicologico spaventosi; decisioni che vanno prese in tempi strettissimi, spesso senza l’appoggio ufficiale di chi potrebbe alleviare il pesante fardello di quest’uomo apparentemente indistruttibile ma ben cosciente della portata delle azioni che è costretto a compiere.
Bella recensione, calibrata molto bene, specialmente se si pensa che è una prima seduta… sarebbe stato quantomeno forzato o utopistico che un personaggio come Jack si fosse aperto come chi deve rilasciare un’intervista.
Ennesimo centro “Enri”, continua così!
P.S. un complimento anche a tutta la troupe del sito perché l’idea di questa sezione è troppo bella!
Tutti questi complimenti viziano il ragazzo. Siate cattivi 🙂
Grazie per quelli sulla sezione. Se avete preferenze sui prossimi personaggi da psicanalizzare fateci sapere. Ricordatevi. Personaggi non persone!