Il signor Gil Grissom mi fissa in silenzio. La rarefazione comunicativa tra noi in questo momento mi rimanda a sensazioni come la mancanza di aria. Avete presente di cosa parlo, quella specie di assordante silenzio che si crea nelle situazioni imbarazzanti.
Dimostra forse la mezza età, che viene però surclassata dallo sguardo vigile e calmo. Mi sembra di essere studiato. Dalla sua cartella è emersa la figura di un ottimo agente della scientifica, una persona votata al lavoro e a pochi, sani hobby. Mi chiedo dove porterà il nostro incontro.
Il momento delle domande arriva inevitabile, e nella difficoltà di trovare un incipit quanto meno non stupido mi ricordo improvvisamente dei motivi per cui gli psicologi vengono pagati. Per questo inizio in modo cauto. So che il signor Grissom è venuto per la consueta visita annuale, per la valutazione dello stato della sua salute mentale.
Percepsico in modo chiaro la mia impotenza nel poter dare giudizi simili. Gil Grissom è un uomo molto particolare. Ha un fare tecnico-scientifico nella fase colloquiale e introduttiva del nostro incontro, muove la bocca senza esagerare la propria espressione.
Sa cosa aspettarsi da una seduta come questa, ma si dimostra profondamente educato, e nonostante abbia la chiara percezione che lui stia vivendo il nostro incontro come una perdita di tempo, prosegue nel parlarmi delle sue cose. Comincio a sentirmi a mio agio.
Ha perso il padre quando era piccolo. Non sono uno psicanalista, ma non posso non tenere conto di questo fatto. Il padre gli ha trasmesso l’amore per la scienza, era un professore. Coglie l’occasione per aprirmi uno spiraglio, e io lo afferro al volo.
Gli piacerebbe concepire i vantaggi dell’assenza di logica. Afferma, con la consueta calma, di essere schiavo e padrone del ragionamento logico, di non poter prescindere dai vantaggi dati dalla logica dei predicati e dal linguaggio proposizionale. Mi chiede se è possibile concepire l’inconcepibilità.
Mi viene da sorridere. E che ne so io, penso immediatamente. Ma ho come la sensazione che lui sappia cosa sto pensando. Che la sua domanda non sia tanto rivolta a me quanto all’esistenza stessa, e che sia un ironico domandarsi perchè di un finale di una tragedia greca.
Concepire l’inconcepibile. E’ poi così difficile entrare nella mente delle altre persone? Grissom lo fa quotidianamente, mi spiega. Il suo modo logico di procedere lo porta a doversi immedesimare sempre in persone, e perfino in luoghi, che trasudano delitto, che trasudano colpevolezza.
E a giudicare da quello che mi racconta, lui è più bravo di me. A tratti mi ricorda una personalità ossessiva, non un vero e proprio disturbo ossessivo compulsivo, ma alcune sue tendenze a collezionare, a catalogare spingono forte in quella direzione.
Poi mi accorgo che c’è dell’altro. L’emotività è tutta da considerare. Si muove nel mondo che lo circonda con la stessa, razionale prudenza con cui affronta i propri casi, o con cui risolve le parole crociate. Ha avuto delle relazioni, ma non è intenzionato a racocntarmi di più, e io non insisto.
La persona che ho davanti, la sua stessa presenza, mi ricorda che sto lavorando, e che devo cercare di limitare le mie fantasticherie. Allora mi concentro sul paziente, e non sull’ammirazione che questi suscita nei miei confronti. Non posso insistere, ma mi dice che ha un’affettività complessa e semplice allo stesso modo.
L’intensità con cui vive le relazioni varia, e per relazioni intendo anche quelle di amicizia, o di lavoro. Quest’ultimo sembra essere l’unico vero pretesto, l’unica giustificazione per auto-concedersi di sentirsi a proprio agio con altre persone.
Sordità emotiva, penso. Sindrome di Asperger. Forse si tratta proprio di quello. Persone la cui funzionalità approssima la normalità, (mal) nascondendo in realtà la capacità di leggere gli stati mentali altrui. L’Asperger vede un sorriso e non lo in terpreta correttamente, non capisce cosa comunichi. Questo può causare seri problemi, specie quando si è piccoli.
Inoltre spesso coloro che sono affetti da questa sindrome sviluppano capacità straordinarie in settori specifici. Ci penso su. Non gli si addice. Secondo me lui i miei sorrisi li interpreta bene, forse non ne capisce la genesi, ma sono convinto che, con uno “strumento cognitivo” o un altro, riesce a apirne il significato. E va ben oltre.
Non ne sono assolutamente certo, ma credo che uscendo dal mio studio abbia accennato un sorriso.