Lo sguardo segnato di Bruce mi cade addosso come un macigno. Mentre si siede di fronte a me, ho una sensazione strana: sembra che la sua corporatura esile nasconda un misterioso peso, che è costretto a trascinarsi dietro senza la minima speranza di potersene liberare.
Il suo eloquio è fluente, e il suo argomentare trasmette una richiesta di aiuto, anche se ancora non riesco ad afferrarne la profondità e l’intimo significato. La lotta contro le cose che odiamo di noi stessi è sempre causa di sofferenza, non si raggiunge alcuna soluzione tagliando o ferendo una parte di noi che non ci piace.
La lotta titanica contro l’ambiguità e la doppiezza di molti degli aspetti della personalità disarma le persone già in preda del burrascoso mare dei conflitti, e peggiora, se possibile, situazioni di partenza già critiche.
Bruce vuole trovare una cura alla sua malattia. La sua malattia è un mostro verde che altera di quando in quando la sua fisicità, si impossessa dei suoi sentimenti e delle sue necessità, lo rende schiavo e lo trascina in fondo a un pozzo scomodo, dal quale riesce solo in lontanaza a capire cosa sta succedendo fuori.
Gli chiedo di andare avanti, e di essere specifico. Gli chiedo delle origini del suo male; cerco di andare oltre la metafora, pur mantenendone il rispetto e la dignità all’interno della nostra conversazione.
Scoraggiata. La sua faccia è scoraggiata. Batte un pugno sul tavolo, senza forza, senza alcuna intezione di nuocere ad alcunchè nel mio ordinatissimo e normalissimo studio. Tuttavia d’istinto mi sposto indietro, esperisco un inconscio senso di minaccia. Insofferenza e scarsa tolleranza alla frustrazione.
Cerco di dominarmi, di rimanere professionale. Gli chiedo da quanto tutto questo va avanti. Leggo adesso qualcosa di nuovo. La sua espressione cambia. Anzi, no. Non è la sua espressione. Sono i suoi occhi. Qualcosa nei suoi occhi sembra cambiare in base alle parole che esprime e al feedback che riceve.
Non è una vaghissima e astratta impressione, qualcosa è fisicamente cambiato in lui, non so se è solo la presenza di un barlume di determinazione nel suo sguardo, ma qualcosa è cambiato davvero. Il senso di cambiamento va a braccetto col sentire come estranea una parte del proprio corpo.
Da quello che sono riuscito a capire, esistono molte sfumature nella causa della sofferenza di Bruce. Lo ammetto, all’inizio, da come mi aveva parlato del suo problema, non sembrava “avere altro” che una brutta malattia, come se non fosse sufficiente. Ma c’è qualcosa di più complesso dietro a tutto questo. Qualcosa di mutevole.
C’è la ricerca della propria natura. Bruce è un fisico nucleare, un uomo di scienza. Il suo lavoro consiste, aiutato da complessi formalismi, nel comprendere e cercare di coordinare alcuni aspetti della natura. Adesso, a causa di un beffardo contrappasso, si è ritrovato manipolato dalla sorte, e forse da un determinismo che coincide col volere stesso della natura che il fisico cerca di comprendere.
Mi chiedo come sia possibile che una persona così brillante abbia l’aria del fuggiasco in modo così marcato. Bruce fugge da chi gli dalla caccia, e fugge dall’impossibile accettazione di poter convivere di qualcosa di troppo eccessivamente mostruoso e soverchiante. Qualcosa che rappresenta, dopo la morte, il più drastico dei cambiamenti.
I suoi vestiti sdruciti continuano a mandare ricordi di normalità. Sono sporchi di fuga, ma sistemati ancora in modo da ricordare un’esistenza convenzionale, per quanto significato questa parola possa portarsi dietro.
Quando il corpo esplode, solo la mente può cercare di dominarlo. Ma a volte è impossibile lottare contro la detonazione di rabbia delle sue crisi, in cui la trasformazione incontrastabile ne sottolinea aspetti violenti e primevi.
Ma forse, non c’è una direttiva utilizzabile una tantum; forse la continua fuga di Bruce non altro che è poco più che un’ulteriore metafora, la metafora della ricerca continua, ossessiva, instancabile, indirizzata verso ciò che non si conosce.
E l’obiettivo di questa corsa senza fine appare essere l’orizzonte di cartone, dalle dimensioni fisse, di uno studio cinematografico e televisivo. Non si fa un passo, non ci si muove di un millimetro. E ci si sente sempre più braccati, il fiato di chi ci rincorre è sempre più vicino al nostro collo.
Tendere alla stabilità mentre si sente di essere pienamente fioriti nell’instabilità è un conflitto che può portare alla nascita del mostro verde, e Bruce ne è la prova lampante. Che poi i raggi gamma abbiano avuto un ruolo in tutto questo, io non lo metto assolutamente in dubbio.