Mi guarda con occhi artificiali e dice di fare il “piegatore” di professione. O meglio, adesso si occupa di spedizioni, ma ha fatto il piegatore per molto tempo. Mentre mi fissa col suo sguardo bi-espressivo (occhi aperti/occhi chiusi) fuma il sigaro, e di quando in quando estrae un cocktail già pronto dal proprio corpo e lo trangugia in un attimo.
Il signor Bender potrebbe avere qualsiasi età. Sono ormai assuefatto al veder la soglia del mio studio varcata dai passi di personaggi inquietanti, quindi non mi stupisco minimamente nel vedere un tipo vestito da robot stile mago di Oz, che sostiene di avere bisogno di me.
Non so perché, ma il suo fare ricorda maggiormente uno che vuole entrare in affari con me, per poi scappare col malloppo. Presenta argomentazioni estremamente ciniche, ai limiti della cattiveria. Gli chiedo quale sia il suo problema, e quello mi guarda stranito.
Ridendo mi chiede se per caso riesco a capire quale problema lui non abbia. A giudicare dalla personalità manipolativa sembra un perfetto esempio di personalità borderline, il tutto convalidato da altri importanti aspetti come l’abuso continuo di sostanze. E per continuo intendo continuo, butta giù un drink dopo l’altro.
Forse non ha mai conosciuto i genitori. Considerato che si considera un robot, gli chiedo della sua fabbrica d’origine, non posso parlare direttamente di famiglia. Fare il piegatore lo soddisfaceva, ma poi qualcosa è andato in corto circuito, qualche bit si è spostato dove non doveva, e tutto è andato a farsi friggere.
O forse è solo iniziata una nuova era, una nuova vita. Bender ha cominciato a farsi delle domande, a partire dal giorno in cui ha incontrato un grande amico. Una persona estremamente stupida e limitata, ma che lo ha coinvolto in quella che è stata la sua rinascita.
Percepisco la fatica nell’esprimere e nel manifestare gratitudine. Non è abituato, o il suo programma che modula l’apprendimento di comportamenti nuovi richiede lunghe sessioni di debug. La famiglia per lui è il luogo dove attualmente lavora.
Sostiene di provare un impulso irrefrenabile a trasformare il suo cinismo in qualcosa di ancora più cattivo, in qualcosa che possa fisicamente danneggiare il prossimo. Potrebbe avere a che fare col controllo degli impulsi.
Non riesce a trattenersi, è più forte di lui. Per essere una macchina- o per credersi tale – sembra incredibilmente coinvolto in quello che dice. Gli automatismi sono la base dell’apprendimento nella vita, non potremmo mai guidare un’auto pensando razionalmente alle azioni che stiamo compiendo.
Tuttavia ho l’impressione che per lui siano giunti a un livello tale che qualche aspetto interno ha deciso di ribellarsi, il software principale è andato in crash e la sua personalità manifesta comportamenti quantistici. Troppi automatismi finiscono per rendere la nostra vita paranoica e ripetitiva.
Gli dico che è un bene. E’ un bene essere umani, può fare paura, ma è una condizione nuova da accettare. Lontano lontano si trova lo sguardo del mio paziente, milioni di calcoli stanno avvenendo nel suo cervello, e nonostante questo il risultato è irrazionale, un numero sbagliato per effetto dei limiti rappresentazionali del processore che lo ha prodotto.
L’amicizia e le vicende che ha passato insieme ai suoi amici lo hanno reso vulnerabile alla solitudine e alla loro mancanza. Dietro questo muro mostruoso fatto di cinismo e di pessime intenzioni si nasconde un Bender nuovo, ancora neonato, i cui vagiti aggrediscono le persone che lo circondano, alla ricerca di accettazione.
Gli do una pacca sulla spalla e lo accompagno alla porta. E’ sano, ci vuole tempo. Poi, quando se n’è andato, scopro di non avere più il portafoglio.