Questa sera su La7, alle 22.55, farà capolino Marco Paolini, con lo spettacolo teatrale Il Milione, quaderno veneziano.
Il Milione è un monologo sulla storia di Venezia, riadattato televisivamente con la regia di Giuseppe Baresi in collaborazione con Paolini e realizzato con un mix di riprese dello spettacolo che si è svolto a Chioggia, alla Laguna di Venezia e nel deserto del Sahara.
Lo spettacolo è un diario di viaggio che ricalca, tappa dopo tappa, la storia della bellissima città di Venezia, attraverso musica, scene, personaggi, etnie ed immagini. Si va dal paesaggio lagunare Veneziano al deserto del Sahara, dove lo scenario è surreale, dove le atmosfere metafisiche fanno da sfondo attraverso il viaggio di Campagne, uomo di terraferma, che a bordo della barca di Sambo, il veneziano Doc, va alla scoperta di Venezia, dalle sue prime palafitte a quella odierna.
Acqua e terra fanno da base della storia, una storia che si raccoglie in mille anni, in cui il protagonista Campagne, veste anche i panni di Rustichello da Pisa e Marco Polo, cercando di trascrivere tutto ciò che vede, da mercati a paesi, dalla bella Venezia, divisa dal resto del mondo, alla Cina, una specie di sintesi del passato e del presente, che ci viene raccontata attraverso oggetti e personaggi.
Marco Paolini parlando dello spettacolo ha detto:
Essere nostrani è un bel vantaggio, ammettetelo. Condividere lingua, terra, storia ha un suo fascino esclusivo. Io scrivo in lingue foreste, lingue affini anche se non uguali a quelle dei padri. Uso queste lingue per raccontare storie di questa terra, terra di confini e vicinanze, di diffidenza e generosità, di business e d’ignoranza grossa. Terra di gente presuntuosa che vorrebbe distinguere il mondo in nostrani e foresti, i nostrani tutti dentro i foresti fuori, partendo dal presupposto che il peggiore dei nostrani è meglio del migliore dei foresti. Io non scrivo per loro. Mi rivolgo, anzi, a chi fa più fatica a capire le parole di questo dialetto, mi rivolgo alla loro intelligenza”. E Il Milione è “un ponte fra nostrani e foresti, uomini che non si riconoscono per la patria d’origine, ma per quella d’adozione, per quella a cui hanno deciso di dedicare i loro sforzi, il loro lavoro