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Vieni via con me, a lezione di Gomorra. Saviano: “La mafia prolifica al Nord”


Lezione di Gomorra nella nuova puntata di Vieni via con me, in un turbinio di emozioni che permeano lo studio fin dalle prime battute, quando Fabio Fazio, tossicchiante per la tensione, snocciola l’elenco lunghissimo di personaggi politici che dovrebbero essere invitati nelle prossime puntate (solo due) se la trasmissione dovesse essere equiparata ad una tribuna politica come qualcuno (leggi Mauro Masi, dg Rai) vorrebbe. E’ la puntata degli elenchi ancor più della precedente, in mezzo Roberto Saviano che ci racconta le dinamiche mafiose, si parte dalle origini con i tre cavalieri venuti dalla Spagna: Osso, Mastrosso e Carcagnosso, ognuno di loro ha contribuito alla nascita delle organizzazioni che speculano nel buio per un solo unico motivo: il denaro.

Si rimane allibiti di fronte al racconto che sembra uscito dalla penna di uno scrittore fin troppo fantasioso, i riti di iniziazione, il contrasto onorato, ovvero il novizio che entra a far parte della famiglia, descritta come un albero con tanti rami, da cui può uscire solo cadavere. La formula con cui ciascun affiliato firma l’imprescindibile dichiarazione di fedeltà alla mafia, che agita, colpisce, architetta nel buio, fino ad arrivare ai centri della finanza milanese, colludendosi con la politica. Le grandi società di fronte a tanto strapotere economico, chiudono un occhio anzi due. Un romanzo dicevamo, peccato che sia la realtà, il più grosso errore sarebbe proprio guardarlo con fare distaccato. L’incredibile ossimoro è che coloro che agitano le fauci voraci della finanza, sono persone destinate a vivere in bunker, vivendo la non vita, potendo godere solo di una piccola parte delle immense ricchezze che riescono a stipare. Poi l’affermazione che sembra uscita dal Vangelo: “Nel momento in cui ognuno di noi non fa il male, sta facendo arretrare loro e sta forse sognando un’Italia diversa”.

L’Italia è bella, come decanta candidamente Gemmi Sufali, figlia di immigrati albanesi, è il Paese dei buoni propositi che uniscono in un abbraccio solidale destra e sinistra, scaturito dalle parole di Pier Luigi Bersani del Pd e da quelle di Gianfranco Fini di Futuro e Libertà, ma sarà poi vero? Strano Paese il nostro, bistrattato quanto basta dal monologo forse fin troppo impegnativo di Paolo Rossi, il posto dove le vicende di Eluana Englaro e Piergiorgio Welby unisone nello stesso crudele destino, subiscono il grottesco epilogo strumentalizzato nel primo caso, additato come esempio da non seguire nel secondo. Quando il martoriato attivista radicale, decide in accordo con l’amata compagna Mina di staccare la spina delle macchine che lo tengono in vita, la chiesa non glielo perdona, nessun funerale cattolico per lui, mentre dittatori macchiatisi con terribili delitti ne hanno potuto disporre.

Una puntata densa di emozioni e di ospiti: non manca il tributo al grande Fabrizio De Andrè da parte del figlio, fino al degno epilogo affidato a Cetto La Qualunque alias Antonio Albanese. Secondo noi la trasmissione è stata ancora più sentita della precedente, ma questa volta tenere banco al Dio Auditel sarà più dura, a tra qualche ora per sapere se abbiamo ragione o torto.

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