“Ma cos’è questa crisi?”, recita un simpatico motivetto degli anni ’30 frutto della propaganda imperante di quel periodo non proprio roseo del nostro passato, la canzoncina aleggia nell’ineluttabile gioco di corsi e ricorsi storici fino a condurci nell’Italia del 21mo secolo dove la crisi economica c’è, eccome, a cui va ad aggiungersi quella dei valori, delle istituzioni, dei media, di fronte cui l’opinione pubblica rimane inspiegabilmente inerte. Il buon senso dovrebbe indicare la logica del risparmio, del tirare la cinghia, da cui niente e nessuno dovrebbe venir esentato, quando invece in certi ambienti si continua a scialacquare, a scapito di altri: rimaniamo esterrefatti di fronte a certe scelte di mamma Rai.
Non è la prima volta che torniamo su l’argomento, ma lo riteniamo doveroso proprio nella settimana che celebra il sessantesimo compleanno del Festival di Sanremo, in onda da stasera, trasformato in una sorta di singolare baraccone, senza tenere conto delle più elementari esigenze di badget che imporrebbero un minimo di rigore. Diciamola tutta: non si può certo dire che la Tv di Stato navighi nell’oro oppressa com’è da un debito che a oggi è di 700 milioni ripianabili in due anni secondo un pretenzioso piano industriale.
Di fronte a certe cifre ci viene difficile comprendere, nonostante le giustificazioni che impone la concorrenza tra emittenti televisive, che la Rai Radiotelevisione italiana, sovvenzionata in parte con i nostri soldi inviti a Sanremo una diva dimezzata dello show business americano come Jennifer Lopez con tanto di seguito composto da 30 persone, leggiamo che solo l’affitto della location che quest’anno ospiterà la nuova edizione dell’Isola dei Famosi è di 6000 euro al giorno, che l’ingaggio di Ronn Moss, il mascelloso Ridge di Beautiful (che tra l’altro viene trasmesso dalla concorrenza) per Ballando con le stelle di Raiuno, ammonta alla cifra di 900 mila euro, viene da dire: era proprio necessario?
Dove operare allora i tagli più vistosi? Sull’informazione e in particolare su Rainews 24 già in crisi di risorse, una struttura che si erge tra gli ultimi baluardi a fronteggiare l’incedere di telegiornali guidati da figure sempre più ossequiose verso i governanti. Pensare che Rai Corporation, azienda affiliata con sede negli Usa, per i quattro corrispondenti da New York, paga 55 tra tecnici, montatori, producer: una nutrita schiera che vede al suo interno ben 11 manager.
Sconcerta come non venga valorizzato un elemento portante dell’informazione Rai, nel settore cardine del digitale terrestre in piena espansione:“Non capisco perché non si colga questa opportunità, non approfittare di una circostanza come questa per risolvere il problema dell’identità e mentalità di Rainews24″, ha detto Sergio Zavoli, presidente della Commissione di Vigilanza.
Al mancato potenziamento del canale all news Rai, si aggiunge la decisione, al momento congelata, di chiudere le cinque sedi di Beirut, Il Cairo, Nairobi, Nuova Delhi e Buenos Aires oltre al canale Rai Med. Il sindacato dei giornalisti Rai (Usigrai) chiede che, se economie dovranno esserci, siano più oculate perché altri sono gli sprechi, proteste accolte con un sostanziale silenzio da parte dei vertici dell’Azienda.
Intanto la concorrenza affila le unghie: è di questi giorni la notizia della nascita di Mediaset News testata giornalistica che darà a breve il via al nuovo canale d’informazione H24 con il marchio del Biscione. Lascia allibiti e se volete anche amareggiati la scelta della Rai di favorire lo spettacolo a scapito del giornalismo di qualità, se poi ci mettiamo le polemiche sulla “nuova” par condicio di questi giorni, viene da pensare che ci sia un disegno ben congegnato dall’alto.