Si dice che per conoscere il diavolo bisogna andarci a cena: alla luce dei recenti fatti che vedono protagonista dell’insolito convivio da una parte il Governo sotto forma di decreto Romani (in discussione in queste ore alla Camera) che dovrebbe tra l’altro dettare nuove regole su internet e dall’altra il colosso Google proprietario di YouTube da più parti accusato di ledere il diritto di copyright. Bisognerebbe stabilire intanto chi cela sotto mentite spoglie l’aspetto demoniaco, perché alla miope attenzione dell’opinione pubblica italiana si sta consumando uno scandalo non da poco all’insegna del più bieco business.
Che internet stia sullo stomaco ai Governi incluso il nostro non è una novità, già nel 2008 quando l’Italia si apprestava a ricoprire per la terza volta la presidenza del G8 il premier, Silvio Berlusconi dichiarava: “Il G8 ha già come compito la regolazione dei mercati finanziari in tutte le nazioni; ho visto che per quanto riguarda internet manca una regolamentazione comune. Porteremo sul tavolo una proposta internazionale, essendo internet un forum aperto a tutto il mondo.” Regolamentare o se volete imbrigliare sotto una qualsivoglia legge un canale d’espressione che fa della libertà la sua migliore prerogativa.
Così arriva il decreto Romani di cui abbiamo già parlato, sorta di spada di Damocle per colossi come YouTube leader nella diffusione di video, già a suo tempo oggetto di una causa da 500 milioni di euro da parte di Mediaset, che destino vuole sia di proprietà del presidente del Consiglio, per la diffusione illegale di filmati del Grande Fratello. Lo scorso dicembre il tribunale di Roma ha dato un primo parere favorevole alle rimostranze del Biscione che molto presto quindi potrebbe averla vinta sul noto marchio americano, se non fosse che arriva il colpo di scena: è di questi giorni la notizia diffusa da Il Sole 24 Ore che Mediaset attraverso Publitalia ingolosita da un mercato online in continua espansione avrebbe offerto a YouTube di divenire la concessionaria pubblicitaria per il nostro Paese, una sorta di compromesso che suona come una specie di ricatto.
Come troppo spesso accade in Italia tutto si risolve a tarallucci e vino all’insegna del più classico “volemose bene” dove a farne le spese sarà ancora una volta la libertà del singolo. Cosa accadrà di fronte a un diniego di YouTube all’accordo sebbene si sia già dichiarato possibilista? Dovrà pagare una ricca multa a Mediaset limitando il suo raggio d’azione, altrimenti saranno le leggi imposte dal mercato (o meglio dai Governi) a stabilire cosa è liberamente fruibile sulla rete, l’ennesima porcata consumata alla luce del sole, con gli americani che da vittime sacrificali diverrebbero addirittura carnefici potendo lucrare sui video di quello che una volta era un loro concorrente.
Dice bene il buon Corrado Calabrò presidente dell’Autorità per le Garanzie nelle telecomunicazioni, il quale nutrendo forti perplessità sulla regolamentazione del Web proposta dal decreto Romani, ha affermato:“Un filtro generalizzato su Internet da una parte è restrittivo, come nessun Paese occidentale ha mai accettato di fare, dall’altra è inefficace perché è un filtro burocratico a priori”. Il diretto interessato ovvero il viceministro alle Comunicazioni Paolo Romani ha poi risposto:“Non sono d’accordo su molte delle osservazioni fatte da Calabrò. Sicuramente non sul fatto che l’Italia possa essere paragonata a sistemi autoritari come la Cina. Non abbiamo nessuna intenzione di avvicinare il Paese a modelli di questo tipo”. Sarà vero? YouTube permettendo…