Annichiliti, insensibili, refrattari a qualsiasi tipo di emozione forte: è possibile che anni e anni d’esposizione all’influsso catodico, ci abbia privato dei sentimenti? Negli anni ’50 il filosofo tedesco Gunther Anders scriveva che la televisione ha la capacità di defraudarci dell’esperienza e della capacità di prendere posizione. Anders affermava che chi consuma nella propria stanza l’immagine di un’esplosione nucleare fornita a domicilio è defraudato della capacità di concepire la cosa stessa, le sue conseguenze concrete.
Leggevamo qualche giorno fa di un 70enne di Lecco che causa depressione si è lanciato dalla finestra del suo appartamento al terzo piano, il corpo, coperto da un lenzuolo bianco è rimasto per ore sull’asfalto tra gli sguardi indifferenti dei passanti, mentre altri hanno continuato a consumare ai tavolini di un bar, mentre c’è chi ha seguito i primi accertamenti della polizia scientifica sgranocchiando uno spuntino o addirittura scattando foto. Dieci anni di Csi ci portano a sorridere quando vediamo il dottor Albert Robbins anatomopatologo dissezionare cadaveri, ma quando è la realtà a portarci il conto sotto forma di immagini “concrete” siamo portati a reagire allo stesso modo?
Secondo un recente studio della USC (University of Southern California):“In una cultura dei media in cui la violenza e la sofferenza diventano uno spettacolo infinito, sia come finzione che come infotainment (informazione come spettacolo), si installa gradualmente all’interno l’indifferenza alla visione dell’essere umano che soffre”. Gli autori dello studio hanno usato delle storie reali e convincenti per indurre in 13 volontari ammirazione per la virtù o l’abilità, o compassione per il dolore fisico o sociale.
La formazione dell’immagine nel cervello ha indicato che i volontari hanno avuto bisogno di sei-otto secondi per rispondere completamente alle storie di virtù o di dolore sociale. Lo studio solleva delle questioni circa il costo emozionale (specialmente per il cervello in fase di sviluppo) del pesante ricorso ad un flusso veloce di frammenti di notizie ottenuti attraverso la televisione, i notiziari online o i social network.
La conclusione è che se le cose accadono troppo velocemente, si può anche non avvertire mai le emozioni sulle condizioni psicologiche delle altre persone e questo avrebbe delle implicazioni sulla moralità. Si rimane increduli di fronte a simili risultati, ma è indubbio che come la televisione ci possa indurre a reazioni violente, magari in momenti particolari della nostra esistenza, è altrettanto vero che stravaccati sul divano magari dopo una dura giornata di lavoro, si è disposti a “ingerire” qualsiasi tipo di sequenza senza avvertire nessuna esperienza emozionale degna di nota. Allo stesso modo sono le menti più giovani e inermi a travisare i messaggi forti che arrivano dal teleschermo non considerandone l’esatta valenza. A questo punto la conclusione nasce spontanea: siamo destinati a diventare automi?