Strano Paese l’Italia, manifesto di cultura millenaria che tutti ci invidiano, oppresso da mille contraddizioni mutuate da un’ignoranza latente che disconosce una cosi sublime tradizione, dove i governanti uniformano le leggi in base ai loro interessi, alla faccia di quella libertà cosi tanto proclamata ma mal preservata. In questi giorni Paolo Romani viceministro alle Attività Produttive, ha presentato un decreto che ufficialmente recepisce la direttiva comunitaria sulle televisioni (Tv senza frontiere) ma che di fatto andrebbe ad intaccare tra gli altri alcuni principi fondamentali che riguardano la fruizione di filmati sulla rete.
In particolare il decreto prevede: la cancellazione delle norme a sostegno delle produzioni indipendenti di fiction e cinema, la limitazione degli affollamenti pubblicitari per il satellite e i canali a pagamento, l’esclusione del tetto del 20% stabilito dalla legge Gasparri dei canali pay e di quelli che ripetono programmi e infine, il giro di vite sul web, derivante dall’inclusione di internet nella disciplina riguardante i siti che trasmettono non occasionalmente immagini. La normativa garantirebbe al dicastero delle Attività Produttive e quindi al governo, la discrezionalità in materia autorizzativa anche alle trasmissioni in diretta o live streaming su internet.
Proprio oggi, L’Ufficio sindacale Troupes della Slc-Cgil ha indetto lo sciopero nazionale dei lavoratori del settore cine-audiovisivo, per protestare contro il decreto. Lo sciopero prevede anche tre sit in a Roma: alle ore 10 davanti alla sede Mediaset in viale Aventino, alle ore 12,30 davanti alla Rai in Viale Mazzini e alle ore 15 davanti alla sede di Sky in via Salaria. Per l’opposizione, il provvedimento:“riscrive le norme in materia di tv e Internet sulla base di una legge delega di 11 righe” e contiene, in particolare, un “colpo mortale alla produzione di cinema e fiction italiano”, un “evidente regalo a Mediaset” e “un giro di vite allarmante per la trasmissione di servizi audiovisivi su Internet“.
Per il diretto interessato ovvero Paolo Romani non esiste alcun “eccesso di delega”. Il decreto,“non intende censurare il diritto di informazione in rete e tantomeno incidere sulla possibilità di manifestare le proprie idee e opinioni attraverso blog, social network”. Non è dello stesso parere Marco Pancini dirigente di Google Italia il quale afferma che:“alcune norme del decreto Romani mettono in crisi il funzionamento dei siti web che forniscono servizi tipo You Tube” ciò che preoccupa è: “l’equiparazione tra qualunque sito Internet che fornisca la possibilità di caricare contenuti audiovisivi e i canali tv tradizionali che disapplica, di fatto, le norme sul commercio elettronico in base alla quale l’attività dell’hosting service provider, cioè del sito che ospita contenuti generati da terzi, va distinta da quella di un canale tv, che sceglie cosa trasmettere. Significa distruggere il sistema Internet”.
”Lo schema di decreto legislativo del governo su tv e internet presentato alle Commissioni della Camera aggrava ancora di più la già insostenibile anomalia italiana nella concentrazione televisiva e nella squilibrata ripartizione delle risorse pubblicitarie fra tv e carta stampata. I criteri di calcolo del numero dei canali, le nuove norme sul conteggio delle telepromozioni, l’introduzione del product placement sono tutti tasselli di una manovra che dice di richiamarsi all’Europa ma fortifica ulteriormente un italianissimo conflitto di interessi”. Lo afferma il presidente della Federazione Nazionale della Stampa Italiana, Roberto Natale.
Abbiamo dato voce a personaggi autorevoli i quali confermano ciò che temevamo: il decreto si rivela essere norma liberticida atta a limitare quella che ormai resta l’unica, univoca espressione priva di filtri esistente nel nostro Paese. In una società civilizzata o presunta tale come la nostra è impensabile che possa accadere qualcosa del genere. Per quanto tempo ancora potremo scrivere articoli come questo?
Non si può campare di glorie passate e dormire sugli allori. l’Italia è stata colpita da un’anomalia chiamata rinascimento, un episodio isolato che non si ripeterà mai più. Per il resto non ha assolutamente niente da offrire, ne culturalmente, ne civilmente. Un paese dimenticato dal mondo perché incapace di essere moderno e di far parte del nuovo millennio. Un paese ottocentesco, tradizionalista, bigotto dove le persone mostrano finalmente la loro vera natura cupa, aggressiva, diffidente, egoista, materalista. Il paese al mondo dove forse attualmente si produce meno arte di qualità, dove non si sperimenta mai, dove è impossible fare carriera, dove si soffocano i giovani nelle informazioni più retrograde e buone per gli anni 50 e nella retorica più deumanizzante. Una nazione vecchia, retrograda, chiusa nell’ignoranza e nel provincialismo.