Una quarantennale carriera artistica caratterizza il ricco curriculum del romano Antonio Garrani o più familiarmente Toni. Attore come il padre Ivo, conduttore, autore, esordisce in teatro nel 1970. Insieme a una solida esperienza sul palco dove lavora a fianco di nomi del calibro di Giancarlo Sbragia, Gabriele Lavia, Sergio Fantoni, Ilaria Occhini, Luigi Vannucchi, tra i tanti, approda anche in tv dove recita in numerosi sceneggiati fra cui Il Mercante di Venezia del 1978 e nei più recenti R.I.S. – Delitti imperfetti su Canale 5, la soap Un posto al sole su RaiTre, Incantesimo su RaiDue, Butta la luna, Madre detective, Capri 2, Fidati di me, Don Matteo su Raiuno. Dal sodalizio con Michele Mirabella nasce una serie di programmi per la radio e la tv fra cui Tra Scilla e Cariddi su Radio2 Rai e i televisivi Ricomincio da due (1990) con Raffella Carrà, La Piscina (1993) con Alba Parietti, Tivvùcumprà (1995), ha condotto diverse edizioni di Cominciamo Bene su Raitre e nel 2003 ha interpretato il ruolo del giudice Paolo Borsellino nel film Scorta QS21 (Gli Angeli di Borsellino) regia di Rocco Cesareo.
Toni, la tua è una carriera artistica di prim’ordine, puoi ritenerti soddisfatto o conservi ancora un classico sogno nel cassetto?
Mi piacerebbe fare del cinema d’autore, che del resto in Italia naviga su percorsi carsici, sotterranei. E’ un ambito in cui ancora si vedono cose interessanti.
In teatro hai conosciuto delle figure storiche, puoi raccontarci la tua esperienza con una di loro?
Giancarlo Sbragia, è stato il mio maestro, quello con cui ho cominciato a rubare le prime nozioni di una recitazione secca, scarna, essenziale, ma densa e piena di pathos interiore.
Col passare del tempo dagli anni ’70 ad oggi il cinema e ancor più la televisione si sono evoluti e non sempre in meglio, come autore televisivo quali sono le pecche della tv di oggi rapportata a quella di alcuni anni fa?
Le pecche della TV? Il disprezzo del pubblico. Quelli che scrivono per la TV sono per buona parte gente di buona cultura, ma è come se censurassero la parte migliore di sé, per adeguarsi ad un modello di ignoranza diffusa, che denota un senso di profondo disprezzo per coloro a cui ritengono sia diretto il loro prodotto. Quando io preparavo i miei programmi partivo da questo principio: “ Farò qualcosa che io guarderei divertendomi”.
E’ facile per un attore di teatro poi di cinema, fare il conduttore televisivo?
No, la conduzione televisiva necessita di un surplus di faccia tosta che spesso gli attori “puri” non hanno. L’attore di teatro ha bisogno del ruolo per potersi esprimere. Nel suo privato ha spesso difficoltà ad affrontare persino un’intervista. La conduzione TV è quasi esclusivamente improvvisazione, quando è fatta bene. E poi l’attore è narcisista e mette al centro della scena sé stesso. Il conduttore lavora a favore del programma e degli ospiti, facendo spesso un passo indietro per far emergere il programma nel suo sviluppo.
Parliamo del connubio artistico con Michele Mirabella: come è nato?
Fu un grande funzionario RAI Sandro D’Amico, e una geniale capostruttura, Lidia Motta, che decisero di darci fiducia, sperimentando su Radio2 questa strana coppia basata sull’antico gioco tra il Dotto e lo Scapestrato. Cominciammo nel 1982, con La luna nel pozzo. Funzionò. Abbiamo trasmesso ininterrottamente in radio per venti anni, fino al 2001. Poi, come molte cose belle, anche quella esperienza si è consunta.
A proposito della radio, la ritieni una valida alternativa alla tv?
La Radio è uno strumento eccezionale, purtroppo sottovalutato soprattutto in RAI negli ultimi anni. La perdita di ascolti di RadioRai, dipende anche in questo settore dal forsennato inseguimento della Concessionaria Pubblica delle tipologie di programmi delle radio private. Una volta si percepiva subito la differenza di stile di un programma RAI. Oggi invece sono spesso le radio private a fare programmi di maggior qualità.
Sappiamo che la tua grande passione è la chitarra, hai mai composto musiche di cui non siamo a conoscenza?
Ho suonato molto la chitarra, anzi la mia carriera è cominciata proprio in un cabaret romano in cui oltre a recitare, cantavo e suonavo canzoni del repertorio popolare Italiano. Ma ormai sono parecchi anni che ho “appeso la chitarra al muro”.
Cosa vede nel suo futuro Toni Garrani?
“Il futuro non è più quello di una volta”, è un bellissimo slogan che riassume bene la condizione di chi fa il mio lavoro. Nel settore dello spettacolo c’è un profondo e motivato senso di rassegnazione al progressivo degrado culturale del Paese, e alla impossibilità di avere accesso alle strutture che permettono di fare il mestiere dell’attore. Io stesso ho grosse difficoltà a trovare spazi di espressione, e francamente non vedo muoversi un gran che all’orizzonte. Forse perché lo spettacolo vive del racconto della vita e oggi non ci sono più molti in grado di raccontarlo, questo nostro Paese.
Grazie Tony e buon lavoro!