Questa settimana Cinetivù ha incontrato Giovanni Benincasa storico autore tv, alle spalle collaborazioni con Michele Guardì, Gianni Boncompagni, Raffaella Carrà, a lui di deve la firma di programmi come Libero con Teo Mammucari, Internet Cafè su Raitre, Carramba che sorpresa! di Raiuno, Bombay su La7 e il recente Aquarius sul canale satellitare Gxt.
Giovanni in tutti questi anni come si è evoluta secondo te la tv? Molti rimpiangono la Rai di un tempo, più “autarchica” se vuoi ma con una maggiore creatività, libera dal dominio dei format esteri.
Se per tv ci riferiamo alla Rai il discorso è semplice: la Rai è stata una meravigliosa “creatrice di memoria”, una gloriosa industria culturale, ma oggi ha perso il filo della sua missione e io stesso non saprei che cosa conservare, degli ultimi anni, in videoteca. La Rai secondo me dovrebbe far ordine sulla scrivania e determinare i flussi e le correnti, anche rischiando ascolto, dovrebbe cioè creare e formare il suo pubblico senza assecondare quello che già trova, che so, tra le sei e le sette, o tra mezzogiorno e l’una, dopo le solite, attente indagini di mercato. I format sono importanti, non vanno certo ignorati, ma come sempre manca la misura e il coraggio. Soprattutto, troppo spesso mancano gli editori. In tv i Longanesi non passano.
La tua collaborazione con Boncompagni ha dato vita tra l’altro al progetto Bombay un misto di spettacolo e intermezzi comici, con l’ausilio di ospiti famosi, come è nata quell’idea?
Bombay era un programma “situazionista”, un talk destrutturato nato da un feeling consolidato tra me e Gianni. E’ come in una poesia: a volte al poeta viene in mente un verso meraviglioso, solo un verso, ma poi ci deve costruire una poesia intorno… Molti programmi nascono da un’intuizione, ma la messa in scena, la realizzazione, è un’altra cosa.
Il tuo lavoro ti ha portato a stretto contatto con i grandi nomi della televisione come Raffaella Carrà, puoi raccontarci le origini della collaborazione con lei e anche un aneddoto su questa autentica colonna della tv nostrana?
Ho iniziato a lavorare con Raffaella vent’anni fa: mi occupavo del casting di un suo programma, prima come programmista della Rai e subito dopo come collaboratore e assistente del Bibi Ballandi primordiale, il cui ufficio era dentro la stanza di un residence e la scrivania era un rettangolo di compensato appoggiato sopra due cavalletti. E’ in quel periodo che con Raffaella è nata una collaborazione e un’amicizia che dura ancora. Raffaella è una professionista seria e instancabile, molto pignola, che sa ancora sorprendersi. E con questa sua eterna capacità di stupirsi io mi sono sempre molto divertito. Un giorno le raccontai che volevo fare i titoli di testa di Carramba in diretta dallo spazio, con gli astronauti della Mir che uscivano dalla navicella con i nostri nomi scritti sopra ai cartelli. Raffaella rideva, rideva, e non mi credeva. Poi abbiamo fatto le prove, un pomeriggio, collegati con lo spazio e lei continuava a esclamare “Non è possibile, non è possibile…”. Quanto mi sono divertito quel giorno.
Nel 1994 è andato in onda Massimo Ascolto programma condotto da Massimo Lopez, ma originariamente ideato per il compianto Massimo Troisi, con lui un’amicizia di lunga data, puoi parlaci del grande artista napoletano e dei progetti nati grazie a lui?
Massimo Ascolto non era stato ideato per Troisi, ma con Troisi: lui prestava la sua voce e indicava a me, che ero il conduttore, il modo giusto di fare televisione: infatti la seconda lettura del titolo era “Ascolto Massimo”. Avevamo realizzato anche un numero zero. Con la sua scomparsa siamo stati costretti a rivedere, con Lopez, l’intero progetto. No, altri prodotti, altre idee televisive non c’erano, a parte un libro umoristico con biografie di personaggi mai esistiti.
Non sarebbe il caso di ricordare più spesso Massimo Troisi in tv, forse un po’ troppo trascurato negli ultimi tempi?
Massimo è stato un Amico sensibile e generoso, un artista, per me, sconcertante in privato e sulla scena, e molto gli devo ancora e molto gli dovrò sempre. Ricordarlo è un atto dovuto, un piacere immenso, e credo sia necessario “tramandarlo” alle nuove generazioni come un patrimonio del nostro Paese.
Torniamo al tuo lavoro, come nasce un’idea per la tv? Come “plasmi” i tuoi lavori?
Le idee mi vengono in continuazione, sono divorato da una febbre mentale che non mi dà pace, e soprattutto non mi dà pace il fatto che io non possa realizzare almeno tre programmi l’anno. La mia media è di un programma ogni due anni. Molte volte succede come con l’esempio del verso di cui parlavo prima, ossia con un’intuizione che poi deve essere messa in scena con un telaio, una struttura, ossia con un progetto globale. Sembrerà strano, e forse è un paradosso, ma la tv non ha bisogno di idee. Ha bisogno di Programmi.
Di recente hai dato vita al progetto Aquarius: 150 ragazze che si dimenano a suon di musica davanti le telecamere, è nato dall’esigenza ormai imperante di apparire più che essere o cos’altro?
Mah… Aquarius è un quadro sperimentale, un intermezzo… un oggetto di design dentro la cornice ipnotica di un acquario. Quando le modelle sfilano in passerella nessuno dice niente, così anche ad Aquarius: le ragazze non hanno fatto altro che “indossare” 40 anni di musica Disco.
Anni fa ti sei dedicato anche all’editoria scrivendo un testo su Libero e Ti parlerò di te sul veggente Mario Azzoni, pensi di tornare a scrivere qualcosa di nuovo?
Sì, ho quasi finito il nuovo libro: è la storia di una corrispondenza epistolare con il mio bambino. Con lui sono tornato indietro, ho cioè abbandonato sms e mail e sono tornato a scrivere lettere vere e proprie, a comprare buste e francobolli e a infilare tutto nelle buche rosse per strada con una indescrivibile felicità.
Quanto alla tv puoi parlarci dei tuoi progetti futuri?
In questo momento sono a New York, dove sto tentando di realizzare un numero zero che ho registrato qualche mese fa con la Gialappa’s e che ancora non riusciamo a “pubblicare” in Italia. Quindi al momento ho preferito sparigliare. Del resto, è molto più facile in America. Qui ti ascoltano e si stupiscono ancora, come la Carrà.