Se domani qualche giornale titolasse “Roberto Saviano vuole legalizzare la cocaina”, si qualificherebbe da sé. Roberto Saviano esordisce provocando. Intervistato da Fabio Fazio a Che tempo che fa presenta il suo ultimo libro “Zero Zero Zero” (Feltrinelli) e denuncia lo scandalo del narcotraffico, che fa della camorra e della mafia la prima azienda italiana.
E Toni Servillo recita il primo capitolo del libro di Roberto Saviano. Un incipit potente. E io sto male. Perché è maledettamente vero, perché penso a Emma e Jacopo – i protagonisti del mio primo romanzo – . Al dolore di Emma, al dolore di Jacopo, all’incapacità di lei, all’inferno di lui. E per Roberto Saviano provo gratitudine. Per la sua fatica, il suo lavoro, la sua coerenza.
Nelle sue parole, nel suo ultimo libro, non c’è giudizio morale, ma c’è presa di posizione, precisione e ricerca. Parla degli ovulatori – i muli (uomini che si imbottiscono di cocaina e viaggiano per trasportare la droga, “regina drammatica delle merci” come la definisce Saviano) e Fabio Fazio commenta: non c’è niente di più disperato e umiliante che si possa fare a un uomo, per una merce maledetta.
Penso se se lo chiede anche chi fa uso di cocaina, tutti i giorni o qualche volta. Penso a tutti i tipi umani elencati da Roberto Saviano nel primo capitolo e mi chiedo come si possa essere tanto incoerenti, per esempio. Penso a quanto poco le nostre idee siano espresse dai nostri comportamenti e basta.
E Saviano continua a parlare di narcotraffico e di mafia. Il suo è racconto del mondo visto dalla cocaina. Già me li immagino i detrattori o i semplici invidiosi sociali (una nuova categoria sempre più accesa specialmente sul web) che si scateneranno domani contro lo scrittore. Qualcuno dirà pure che è banale, chissà. E tanti altri citeranno quanti prima ancora hanno scritto libri sul tema. Tutti questi staranno lì, tra twitter e facebook, a sminuire il suo lavoro, come se il suo successo fosse una colpa. Come se uno scrittore o un giornalista valesse di meno se poi diventa anche un personaggio mediatico, televisivo. E invece è un bene.
È una benedizione se chi fa informazione e cultura acquista forza mediatica e la utilizza così come la impiega Roberto Saviano. Se diventa perfino un brand, un idolo, un personaggio di culto. Perché continua a metterci la faccia, a mettersi in gioco sempre, per fare luce su mondi oscuri, sporchi.
Sugli applausi del pubblico in studio, Roberto Saviano finisce il suo monologo su Christian Poveda, il reporter franco-spagnolo ucciso per aver fatto il documentario “La vida loca” e non c’è modo migliore di concludere, citandolo così: “Chiunque pensa che queste storie non lo riguardino, sta solo decidendo di chiudere gli occhi”.
“The Big Bang TV” è la nuova rubrica settimanale di Sara Lorenzini. Scrittrice, romana, classe 1981, ha pubblicato con Mondadori “Diario semiserio di una redattrice a progetto” (2010) e “45 mq la misura di un sogno” (2013).