Nel 1926 la Warner Bros., che naviga in cattive acque e ha bisogno di trovare nuove soluzioni di mercato, decide di provare la carta dei musical, dotando di colonna il film Don Juan di Alan Crosland. Per riuscire nel suo intento usa il sistema Vitaphone che prevede un collegamento tra un fonografo e un proiettore. Il problema che ne consegue è che il sonoro non è sempre sincronizzato con le immagini, registrate mute in un altro momento, e poi la maggior parte delle volte si rischia la rottura della pellicola.
L’esperimento risulta molto valido, ma anche molto inaffidabile. La Warner migliora il suo sistema di incisione e nel 1927 fa il colpo grosso: il 6 ottobre esce il primo film con una sequenza in cui l’immagine è sincronizzata con una battuta “Wait a minute – you an’t heart nothin’ yet” (Aspettate un momento gente, non avete ancora sentito nulla!).
Chi la recita, Al Jolson, noto attore teatrale, diventa ancora più famoso, chi produce il film, la Warner, fa incassi da record, chi sente la battuta, il pubblico, tende a disertare le sale dove si proiettano film muti.
Gli incassi da record portano tutte le multinazionali del cinema ad investire nello sviluppo del sonoro. Solo nel 1929 si realizzano 60 musical. Nel frattempo, già nel 1928 esce il primo film interamente dialogato Lights of New York (Le luci di New York) di Bryan Foy.
L’inarrestabile avanzamento tecnologico del sonoro, coglie impreparato l’apparato cinematografico italiano e così quello di molti altri stati stranieri: in Italia l’unico che si muove è Stefano Pittaluga che nel 1930 inaugura gli stabilimenti Cines-Pittaluga, già predisposti alla produzione di film sonori. D’altronde non potrebbe fare altrimenti: l’anno prima è proprio lui a distribuire per la Warner Il cantante di Jazz e ad avere enormi incassi ai botteghini.
Nel 1930 la Cines fa uscire il primo film sonoro parlato e cantato realizzato in Italia, La canzone dell’amore di Gennaro Righelli; nel 1931, in concomitanza con la morte del presidente della società, il governo fascista emana leggi che elargiscono contributi immediati alle società italiane e limitano la presenza di film stranieri nel nostro Paese.
Gli americani non possono accettare di perdere un mercato florido come quello italiani e devono riuscire ad aggirare le leggi fasciste contro i film in lingua originale. Le strade sono due: o sonorizzare il film, facendo scomparire la voce (ma il film diventa inguardabile) o sostituire la voce con le didascalie (ma il film diventa noioso, senza contare che la maggioranza del pubblico è analfabeta).
Bocciate a breve le due idee, la MGM prende in contropiede tutti, realizzando lo stesso film in più versioni, nelle diverse lingue dei paesi in cui la pellicola sarà esportata. La stessa idea piace alla Paramount, che però preferisce impiantare gli stabilimenti in Europa e far recitare attori selezionati sul posto, piuttosto che chiamare a recitare attori immigrati o gente che passa in America per caso.
La versione plurima è un nuovo disastro, sotto tutti i punti di vista: artisticamente il set non è modificabile, perché deve essere lo stesso per tutte le versioni del film; i registi non hanno la possibilità di dare sfogo alla loro creatività, perché il film deve corrispondere fedelmente all’idea primaria e non un’opera autoriale di uno dei registi delle varie versioni. Il film diventa ripetitivo, poco originale, standardizzato, per non parlare della recitazione: gli attori, ormai lontano da parecchi anni dall’Italia hanno una pesante inflessione inglese e non piacciono al pubblico.
Continua…
Pedro Almodovar (regista)
Ogni mio film perde il 60% del suo valore quando è doppiato.
Nella foto: Marco Mete (presa da www.alerossi.com)