Un altro problema portato alla ribalda dalla televisione non è solo quello di rubare pubblico al cinema, ma anche di far assegnare ai propri doppiatori un volto, attraverso la loro attività televisiva. Si cerca dunque di dare agli attori/doppiatori, che ricoprono ruoli importanti in tv, ruoli di secondo piano.
Nel frattempo la CDC passa da quattro a cinque classi di doppiatori: alla A, alla B, alla C e alla D si aggiunge la categoria Extra, la più importante, questo per dare ai propri soci la possibilità di passare di categoria. La televisione, però, alletta i doppiatori, perché finalmente dà loro la possibilità di farsi conoscere dal grande pubblico o, nel caso di doppiatori/attori, di riacquistare la fama di un tempo. Alcuni di loro passano dal doppiaggio agli sceneggiati televisivi, altri diventano addirittura registi.
Sempre nel 1957 si fanno tesi i rapporti fra la ARS e la CID, perché entrambe le società ritengono non equamente diviso il lavoro tra gli attori delle due organizzazioni: la prima denuncia la seconda per aver usato attori da poco associati per alcuni film anziché privilegiare attori iscritti da anni. La CID, di contro, si giustifica dicendo che non è possibile andare contro la domanda di mercato e propone per questo motivo una fusione definitiva fra le due società. La fusioine viene rifiutata per due motivi: uno di gigantismo, poiché la società avrebbe avuto troppi iscritti, l’altro, che gli stessi doppiatori importanti non avrebbero trovato abbastanza spazio sul mercato. Nelle due società nascono movimenti secessionisti che portano, nel 1958, alla formazione della SAS (Società Attori Sincronizzatori).
Alla fine degli anni cinquanta, si assiste in Italia al boom economico e alla conseguente immigrazione dei meridionali al nord, alla ricerca di fortuna. Il cinema non sta a guardare e inizia subito a girare film sulla tematica, trovandosi di fronte all’obbligo di essere il più possibile attinente alla realtà. Per questo motivo si predilige l’uso del dialetto e per i doppiatori nasce il problema di doppiare un film non più in italiano, ma ad esempio in napoletano o in siciliano.
Qualcuno, come Monicelli, ne I soliti ignoti, propone di sottotitolare il protagonista siciliano. Proposta respinte perché avrebbe diminuito l’interessa del pubblico e sarebbe stata offensiva nei confronti dei siciliani. Alla fine Monicelli accetta di usare per il suo film un doppiatore siciliano. Il problema però non era solo suo, ma di decine e decine di altre pellicole. I direttori di doppiaggio a questo punto iniziano a scegliere i doppiatori in base alla loro duttilità, modalità di scelta che perdura anche negli anni ’60 con l’avvento del genere spaghetti western di Sergio Leone.
L’onta del doppiaggio colpisce soprattutto le attrici, che, bisogna ricordarlo, negli anni cinquanta e sessanta raggiungono la notorietà cinematografica attraverso i concorsi di bellezza e non dopo aver frequentato una scuola di recitazione. In quegli anni è sempre più frequente che prima si compare sui grandi schermi e soltanto dopo si impara a recitare. E’ il caso di Claudia Cardinale, Gina Lollobrigida, Sofia Loren, che si doppia soltanto se il personaggio del suo film è nostrano e con connotazione popolare. E’ curioso sapere che la scusa più comune degli attori che non si autodoppiano è quello di avere troppi impegni.
Michelangelo Antonioni (Regista)
Il processo formativo dell’opera d’arte è univoco. Il doppiaggio lo sdoppia dando vita ad unità artificiale, cioè immaginaria, artisticamente nulla.
Nella foto: Roberto Pedicini
Tutte cose che non impari di certo a scuola, ma che fanno parte del patrimonio artistico italiano!