Odette (Catherine Frot), è una signora vedova con due figli, uno gay e una disoccupata, che, dalla morte del marito non ha più trovato la forza per reagire, fino al punto, più volte, di pensare al suicidio. Se non si è spinta così in fondo è stato grazie alla lettura dei libri dello scrittore francese Balthazar Balsan (Albert Dupontel). Balsan, definito dalla critica come scrittore di libri per shampiste e casalinghe e impiegate è un uomo colto, incapace di trovare l’ispirazione caus la fiducia in se stesso pari a zero: l’editore non lo difende dalle accuse e la moglie lo tradisce con il critico. La presentazione dell’ultimo libro di Balsan è l’occasione giusta per Odette di conoscere il suo scrittore preferito e realizzare il suo sogno, nonché per lo stesso scrittore la possibilità per riappropriarsi della propria vita dopo la drammatica scelta di provare a togliersela.
Eric-Emmanuel Schmitt, grande drammaturgo francese, esordisce al cinema (anche se aveva regalato ai cinefili la storia Monsieur Ibrahim e i fiori del Corano) come regista e racconta in maniera classica e poetica il rapporto profondo che si può creare tra il lettore e lo scrittore. Odette toulemonde, il nome originale della pellicola, comincia prima dell’inizio della storia raccontata, ma attraverso lettere, foto e testimonianze, recuperiamo tutte le notizie principali per capire la profondità dei temi trattati: la solitudine, la ricerca della felicità (da qui il titolo italiano), l’incapacità di comunicazione fra le persone e come già detto, il rapporto simbiotico lettore-scrittore.
Il film è pieno di citazioni più o meno palesate: Mary Poppins (la protagonista sogna ad occhi aperti a tal punto di volare come la governante Disney sopra la città), Shining (i bambini in triciclo vestiti come il bambino del film di Kubrick), Gesù (Odette lo vede spesso, data la sua grande empatia e generosità), Misery non deve morire (per la tematica, anche se conclusioni diametralmente opposte.
Ho trovato molto piacevoli le storie secondarie: il rapporto fra la figlia e il suo ragazzo, il rapporto tra colleghe (che sottolineano più di una volta l’incapacità della direzione di assegnare loro i ruoli più azzecati) che temono il mortale reparto intimo femminile, la descrizione della vita del figlio e del suo lavoro.
Il film, una storia d’amore platonico, lento e gustoso come un bel libro da leggere, non colpisce per effetti speciali o fuochi d’artificio, ma per la semplicità dei suoi personaggi, incapaci di autocommiserarsi (ci prova Baldan, ma viene zittito subito da Odette), capaci di imparare a vivere la vita per quella che è, piena di piccole soddisfazioni nella quotidianità (anche abbassare le serrande, apparecchiare la tavola, o cucinare dolci possono dare piacere).
Concludendo: Lezioni di felicità, fra momenti di commedia pura e scene di ballo molto poetiche e piacevoli, che riesce ad arrivare al cuore dello spettatore, con le stesse modalità di un bel libro, ci regala un messaggio importante, semplice come l’opera stessa di Schmitt, ma autentico e sempre da tener presente: se vogliamo essere felici dobbiamo imparare ad aprezzare noi stessi.
Ho letto tutti, dico tutti, i romanzi di Eric-Emmanuel Schmitt, e non mancherò di vedere il film!
Un film veramente carino, dolce, fruttato e trasparente!
Voglio vederlo assolutamente!