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Recensione: il treno per Darjeeling

In seguito ad un incidente in moto, che gli ha fatto rischiare di perdere la vita, Francis L. Whitman decide di partire per un lungo viaggio in India, a un anno di distanza dal funerale del padre, alla ricerca della madre, Sorella Patricia (Anjelica Huston), che dopo la morte del marito si è ritirata tra le montagne e si è fatta suora.
Francis, però, non parte da solo, ma accompagnato dai suoi due fratelli minori, Peter e Jack, con i quali non intrattiene nemmeno il minimo rapporto di cordialità da un anno e con cui vuole riuscire a ricostruire la famiglia, convincendo la madre a tornare a casa.
Al viaggio concreto del treno, composto da fermate in luoghi di meditazioni e città con annesso bazar (dove poter comperare ad esempio, un velenosissimo serpente), corrisponde ad un viaggio alla ricerca della tranquillità interiore, che riesce a far voltar pagina ai protagonisti (simbolico l’abbandono delle valige alla fine del film), rinsaldando i rapporti logori di un tempo.


Il treno per il Darjeeling, film di Wes Anderson, che esce a tre anni di distanza dall’ultima sua opera, Le avventure acquatiche di Steve Zissou (affrontato via mare), è un film drammatico, avventuroso, curato nei minimi particolari (dalla connotazione quasi maniacale di ogni personaggio, all’estrema attenzione per l’ambientazione), con simpatiche trovate che reggono, per quanto possibile, il ritmo lento e cadenzato del viaggio in treno.
Dicevamo dei personaggi: Francis (Owen Wilson), fasciato alla testa, con due scarpe di modelli differenti (una scarpa gli è stata rubata durante il viaggio) è il fratello maggiore, ricco, che conosce alla perfezione i gusti di Peter e Jack, ma non per questo capace di mantenere unita la famiglia (requisisce i passaporti dei fratelli, per non rischiare che tornino indietro prima del tempo), che cerca di comperare attraverso i regali costosi (la cintura offerta a Peter, che si riprende ogni volta che viene contraddetto); Peter (Adrien Brody), che tiene vivo il ricordo del padre utilizzando tutti i suoi oggetti (porta gli occhiali graduati del padre), è un uomo, che ha abbandonato la propria donna, da cui voleva divorziare a un mese e mezzo dal concepimento del suo primo figlio; Jack (Jason Schwartzman), che vive nella paura di non riabbracciare la sua ex fidanzata, di cui ascolta appena può i messaggi in segreteria, ma che è pronto ad avere rapporti intimi con Rita, l’hostess del treno (Amara Karan), è uno scrittore dilettante, che nel suo tentativo di scrivere un libro, racconta la sua vita, senza ammetterlo; tutti e tre abitudinari e maniacali, fumano come dei pazzi e assumono qualsiasi tipo di medicina acquistata senza ricetta nelle farmacie indiane, non si fidano l’un dell’altro e sono pronti a tradire qualsiasi confidenza fatta.
A livello tecnico, bisogna sottolineare l’attenzione per l’ambientazione, coloratissima e dettagliata (il treno è studiato ad ogni scena per risultare perfettamente armonioso), la musica anni settanta che fa da colonna sonora all’intero viaggio, i bellissimi costumi (creati da Milena Canonero), abbinati alle scene, le riprese del treno (mosse quel che basta per essere credibili) e una sceneggiatura valida e insolita (scritta da Wes Anderson, Roman Coppola e Jason Schwartzman).
Concludendo: Il treno per Darjeeling (The Darjeeling Limited) è un film ben fatto, che non può piacere a tutti a causa della scarsità di azione, ma che merita di essere visto, perché inconsueto e particolare al punto giusto per poter sorprendere chi ancora non conoscesse Wes Anderson.
Sconsigliato a tutti coloro che credono che un film d’avventura sia sinonimo di tesori e trappole.

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