Nel 1984 torna finalmente il grande Indy, e dall’altezza dei miei sei anni è stata la prima volta che ho preso realmente coscienza della sua esistenza in questo mondo.
Il percorso di Indiana Jones, segnato da (quasi) quattro capitoli sembra distribuito su un continuum destinato a non avere soluzione; non ho memoria di una serie che sia riuscita in modo così efficiente a creare una tale illusione di ampiezza e di continuità, fatta forse eccezione per Star Wars (ma guarda un po’…).
Il film Indiana Jones e il Tempio Maledetto è in tutto e per tutto un prequel, in quanto, pur essendo stato girato tre anni dopo I Predatori dell’Arca Perduta, si svolge nel 1935, ovvero un anno prima del suo predecessore.
Indy si trova stavolta ad affrontare una complessa situazione, creatasi in seguito al ratto di una pietra magica ad opera dei Thugs, adoratori della dea Kalì.
La pietra ha lo scopo di proteggere i villaggi delle montagne tibetane, ed il suo furto è accompagnato dal rapimento di tutti i bambini dei villaggi, costretti poi a lavorare nelle miniere.
La ferale scoperta viene fatta una volta giunti al castello di Pencot, nei cui sotterranei si erge il tempio del Male, sede di riti occulti e di sacrifici umani.
Indy stavolta porta con sè la cantante Willie (Kate Capshaw) e il piccolo Shorty (Jonathan Ke Quan). Willie viene quasi sacrificata dal protagonista, drogato col sangue della malvagia dea, ma viene salvato grazie all’intervento tempestivo di Shorty .
Memorabile la successiva fuga dei tre sul carrello attraverso le miniere, subito dopo aver liberato i bambini prigionieri.
Che dire, un prequel bellissimo, per la regia di Steven Spielberg e per la sceneggiatura di Willard Huyck e Gloria Katz.
Prodotto da Frank Marshall e da George Lucas, il film annovera nel cast, oltre al consueto Harrison Ford, Kate Capshaw (l’attrice diventa moglie di Spielberg nel 1991) e un cammeo di Dan Aykroyd nei panni di Earl Weber.
Poi troviamo Amrish Puri nei panni di Mola Ram, Roshan Seth nel ruolo di Chattar Lal, Philip Stone nel ruolo del Capitano Phillip Blumburrt, D.R Nanayakkara nei panni dello Sciamano.
Avventura e azione si fondono nelle azioni dell’archeologo più spericolato del mondo, in un mix che comprende anche umorismo, buoni sentimenti e ironia.
E se tutto questo non basta, ci sono anche delle ambientazioni bellissime, che volete di più?