A 20 anni dalle stragi di Capaci e via D’Amelio che sconvolsero l’Italia, Rai1 presenta in prima serata, un film di Alberto Negrin con Luca Zingaretti nel ruolo di Paolo Borsellino, che porta per titolo I 57 giorni. Gli ultimi giorni del magistrato della Procura di Palermo dall’attentato a Giovanni Falcone a quello di cui fu lui stesso vittima. Un commovente racconto di come Borsellino ha affrontato, nei rapporti con la moglie e con i figli, un viaggio verso la morte per un assoluto senso di responsabilità rispetto al suo compito.
23 maggio 1992. Paolo Borsellino (Luca Zingaretti) è dal barbiere. È un giorno speciale. Aspetta il suo amico Giovanni Falcone, che torna a Palermo da Roma per qualche giorno. Si vedranno a pranzo, Borsellino ha seminato la scorta per andare al mercato del pesce e comprare qualcosa di speciale, ha cucinato lui stesso. Bisogna festeggiare la candidatura di Giovanni alla Superprocura, la nomina è data per certa. Ma arriva una telefonata sul cellulare del giudice. Una notizia terribile: un attentato sull’autostrada Punta Raisi-Palermo. Vi è coinvolto Falcone. Borsellino corre all’ospedale. L’amico gli muore tra le braccia.
Dal giorno dopo Borsellino combatte contro il tempo. Ha bisogno di capire, di comprendere che cosa c’è dietro alla morte dell’amico, che è più che un fratello per lui. Nel profondo di sé, Borsellino intuisce che lui e Falcone sono legati da un destino comune. Entrambi si sono battuti contro la mafia e hanno vinto una battaglia decisiva, istruendo il maxiprocesso. Entrambi sono divenuti il simbolo dell’Italia onesta che finalmente ha alzato la testa contro lo strapotere di Cosa Nostra. Ma ora Borsellino è rimasto solo.
La sua è una attività frenetica e sottile, per arrivare alle verità , prima che il destino che ha travolto Falcone afferri anche lui. Tante cose sono cambiate in Italia, tutto sta muovendo verso un futuro mai così incerto. Al nord è scoppiata tangentopoli che minaccia di travolgere un’intera classe politica. Al sud la Cassazione ha confermato gli ergastoli del maxiprocesso per la Cupola mafiosa. Cosa Nostra è come una belva ferita. Borsellino intuisce che è alla ricerca rabbiosa di nuove strategie: l’assassinio di Falcone è l’inizio di una offensiva terroristica, una dichiarazione di guerra allo Stato. Ma in nome di che cosa? E il giudice sa che il suo nome è ora la nemesi, nei fatti e nella coscienza del Paese, degli interessi della Mafia. Un nemico da abbattere, perché tutto torni come prima.
Questa è la storia dei cinquantasette giorni che separano la morte di Falcone da quella di Borsellino. Giorni in cui il giudice intuisce il suo destino e fa i conti con la propria vita, con gli affetti. Traccia il bilancio di un’esistenza, del suo impegno, come magistrato e come uomo, delle vittorie e delle sconfitte. Giorni di tenerezza e d’amore con la moglie, con i figli, con i colleghi, gli amici. Giorni di lotta con i nemici palesi e occulti che, lui lo sa, hanno già tracciato il suo destino. Ma anche giorni di speranza. Di intuizioni sui nuovi scenari che si profilano, in quell’anno in cui tutto cambia. Giorni di lotta, di scoperte, di nuove idee, che sopravvivranno a Borsellino e che chi verrà dopo, raccoglierà . Affinché le stragi di Capaci e di via D’Amelio, che, nell’idea di chi le ha organizzate, dovevano essere il trionfo della strategia stragista di Cosa Nostra, segnino l’inizio della sua fine.