Continua la saga dell’eroico soldato americano, Rambo (Sylvester Stallone), questa volta alle prese con una missione umanitaria e un conflitto interiore, che rendono, la sua vita da eremo, un tormento, le sue tranquille giornate, una lotta alla sopravvivenza.
Ritorna a due anni di distanza da Rocky Balboa, come regista e attore Sylvester Stallone, in un film che promette di mascherare la violenza con la scusa della giusta causa. Il messaggio che passa è: il fine giustifica i mezzi. Non basta il fine a giustificare lo spreco di pellicola perpetrato dal regista. Il film, privo di contenuti, lo definirei paragonandolo ai muscoli del protagonista: pompato, ma vuoto.
Prologo: John, mascherato da figlio dei fiori vive in Thailandia vicino al confine con la Birmania. La sua è una vita umile e modesta, fatta tutta di casa e lavoro (il barcaiolo). Le cose cambiano quando, un gruppo di missionari vuole andare in Birmania a portare la parola di Nostro Signore e con questa, far cadere il governo birmano, colpevole di vessare la popolazione dei Karen da ormai sessanta anni.
Rambo, sapendo che l’idea è pura idiozia, si rifiuta di accompagnare i quattro gatti armati soltanto di buone speranze e non cede nemmeno alle richieste della sensuale Sarah (Judie Benz, conosciuta dai più per i ruoli di Darla in Buffy e Angel e Rita Bennett in Dexter) o alle parole illuminate di Michael Bennett (Paul Schulze, Mimic 2), salvo ripensarci quando ormai è troppo tardi e i missionari sono stati catturati.
Il film ha due aspetti positivi, l’ambientazione spettacolare (che bisogna riconoscere in tutti i film di Rambo) e la potente cassa di risonanza che può avere su una guerra che sta devastando la Birmania da troppo tempo. Tutto il resto, come direbbe il Califfo è noia: qualche migliaio di pallottole, che volano da una parte all’altra, insieme a brandelli umani, che saltano qua e là e le mine antiuomo, realisticamente bastarde, non sono esattamente l’ideale per mantenere il ritmo del film alto, ma gli danno un aspetto semplicemente splatter.
L’interpretazione lascia a desiderare: è vero che i personaggi sono mercenari e non sono esattamente studenti di Oxford, ma qualcosa di più profondo al posto di parolacce e insulti potrebbero pure dirlo. Invece, insieme al revival di Rambo, assistiamo alla messa in scena dello stereotipo del soldato, bruto e ignorante.
D’accordo: siamo davanti ad un film d’azione e non ci si può aspettare di meglio che tanto sangue e un eroe che uccide i cattivi, però, se avessero dato più importanza alla crisi interiore di John, forse sarebbe cresciuta la qualità della pellicola.
Concludendo: le scene cruente farebbero consigliare la visione del film solo ad un pubblico adulto e non molto influenzabile. Io invece lo consiglio a tutti gli amanti di film d’azione e di sangue che scorre a fiumi (e non mi riferisco al Salween guadato più e più volte dal protagonista del film) , nonché a tutti coloro che si accontentano di un film senza contenuto se non quello palesato all’inizio del racconto. Film salvabile solo per la denuncia di una guerra e perché il protagonista è Rambo, altrimenti insufficiente, come la maggior parte dei film del genere.