Psicotivù – Il Commissario Montalbano

Prima che il prossimo paziente entri io mi rilasso trenta secondi sulla sedia. Anche stavolta sono riuscito a fare tardi, sono stanchissimo, non dovrebbero permettermi di ricevere pazienti a quest’ora, forse non sono in grado di essere loro d’aiuto.

Adesso ho bisogno di qualcuno che aiuti me, un paziente che mi aiuti ad aiutarlo, e a giustificare la stanchezza e la fatica che settimanalmente mi costruisco addosso.

Entra il paziente. Un sussulto, come quando vieni sorpreso a leggere una rivista pornografica da un parente. Ma poi lo vedo, e mi rilasso subito. La figura che ho davanti mi comunica familiarità, sicurezza e simpatia allo stesso tempo. Faccio fatica a rendermi conto di essere nel mio studio e non in un un buon ristorante.

Psicotivu: Jack Bauer

Il paziente mi fissa in silenzio, ed io faccio lo stesso. Non ho alcuna intenzione di interrompere quel silenzio, non so se più per timore o per rispetto. Lo sguardo intenso del signor Bauer mi blocca. Mi chiedo dove abbia passato gli ultimi anni della sua vita, come sia riuscito a costruire la combattività del suo sguardo, forse respirando l’aria do mondi lontani.

Ha un’aria veramente stanca, stanchissima, non ho mai visto una persona così bisognosa di riposo. Sembra che non dorma da giorni, poi dal suo sguardo capisco che la sua è una stanchezza atavica, e non è certo la carenza di sonno ad essere in cima allo stack dei problemi della sua vita.

Prendo coraggio, prendo l’iniziativa, e lui istintivamente mi intercetta e mi precede: una sorta di difesa personale verbale perfettamente applicata. L’iniziativa intrapresa dalla sua voce mi mette tuttavia a mio agio. Si esprime in modo fluente, le parole escono dalla sua bocca come portate da un fiume in piena, mi chiedo da quanto tempo parli con qualcuno.

Psicotivù: Stewie Griffin

Come al solito, anche oggi ho fatto tardi. L’ultimo appuntamento della sera è sempre quello più devastante, e il paziente è in ritardo. Ho sempre la sensazione che sarebbe meglio saltare a piè pari quell’ultimo, onirico appuntamento.

Più che bussare sento tamburellare alla porta. Che strano, un bussare così sommesso non può scaturire dalla mano di un adulto. Apro la porta e…un bambino! Accompagnato da un cane.

Il mio presentimento comincia a prendere forma. Rimango bloccato per un attimo sulla porta, e i due strani figuri mi sgattaiolano ai lati e si mettono a frugare nel mio studio. Il bambino ha – non ci crederete – uno sguardo crudele. Vorrei potervi far vedere una foto (e credo che lo farò.)

Psicotivu: Homer Simpson – Ciambelleterapia

Il paziente ha la pelle color giallo acceso, quasi monocromatico; e dire che ne ho viste tante, ma mai come questa. Comincio a farmi un’idea di una eventuale patologia organica, nel frattempo lo faccio accomodare. Ha una curiosa aria da “assenza di pensiero”, tipo post-lobotomia.

Ci guardiamo fissi negli occhi per pochi secondi che sembrano eterni, poi mi accingo a prendere una penna in un cassetto della mia scrivania mentre gli spiego che mi occupo di psicoterapia, e lui si ritira spaventato, come se lo avessi minacciato. Mi dice che ha paura che tiri fuori la “psicoterapia”, e che con la stessa lo percuota.

Lo tranquillizzo, gli spiego che non è un’arma, e mi sento un pò confuso, come timoroso di ricevere per contagio parte della confusione mentale del mio paziente.

Psicotivu: Dr. House

L’ultimo paziente della giornata si presenta in lieve ritardo, e sembra avere una certa fretta nel portare a termine questa visita di controllo. Raccolti velocemente i dati anagrafici – si chiama Gregory House – e prima di parlare di sintomi e malattie, fa un giretto dello studio zoppicando, appoggiato ad un bastone, e da un’occhiata attenta e non troppo fiduciosa ai libri di medicina presenti sullo scaffale. Ripone in tasca un lettore mp3. Il paziente lamenta problemi legati al dolore cronico e alla dipendenza da sostanze. Anche per questo stupisce che di lavoro faccia il medico; indossa i vestiti e l’atteggiamento nello stesso modo, con una certa noncuranza accattivante, che dà l’impressione che il soggetto in questione sia un qualche tipo di artista, con uno stile un pò trasandato, come se si trattasse di un filosofo, di uno scrittore o di un musicista.

Esprime un senso di ricercato pessimismo, le cui radici sembrano affondare in qualche evento passato, forse lo stesso incidente che gli ha impedito per sempre di camminare in modo corretto, anche se a dire il vero non riesco a immaginarlo senza il suo bastone.

Mentre parliamo, armeggia fastidiosamente con una console portatile molto piccola, e dagli scoppiettanti effetti sonori, che escono da quell’arnese: sembra che sia molto preso da una partita coinvolgente. Quando gli chiedo se può spegnere non ha l’aria di ascoltarmi, ma lo rimette in tasca spontaneamente, dicendo, con un vago sorriso, di avere perso.