Il 2014 sta per finire e Renzo Arbore non rinuncia a togliersi qualche sassolino dalla scarpa.
Intervistato dal Fatto Quotidiano si è scagliato, senza troppa veemenza, contro la Rai, rea di non averlo fatto lavorare in tutti questi anni.
Probabilmente alcuni dirigenti suppongono che io sia andato, svanito, evaporato. È un errore che all’epoca in cui Biagi e Bocca superarono i 70 anni commisi anche io. Ero addolorato. Pensavo: “Ce li siamo giocati, li abbiamo persi”. Dio solo sa quanto mi sbagliassi! Ci sono 70enni che hanno tirato i remi in barca e altri che sono ancora validi! In generale, comunque, mi pare che sul mio nome facciano orecchie da mercante. Poi vengono ai miei concerti e si stupiscono: “Ah, ma come stai bene!” “Ah, ma come tieni il palco!”.
E adesso Arbore sta per lanciare la sua nuova tv, Arbore Channel.
Non busso più alla porta di nessuno ma non sono rimbambito. Se vogliono sono qui, in movimento. Sto lanciando Arbore Channel e ho il cassetto pieno di idee. Ogni tanto scrivo un programma e poi mi dico: “Possibile che non ci abbia ancora pensato nessuno?”. Evidentemente è così ma non me ne preoccupo. Cerco da sempre la qualità e della dittatura dell’Auditel non me ne è mai importato nulla. Da quando ha giustiziato la diversità, la tv ha abbassato la guardia. Non dico che il mezzo debba essere decima musa destinato solo a uno stretto cenacolo di intellettuali, ma per me un programma rimane un’operina. Una cosa da immaginare con gusto e ironia. Non inseguendo gli ascolti.
Passare a Mediaset? Impossibile.
Berlusconi mi cercò quando aveva ancora molti capelli e dei “televisionari” della mia generazione sono rimasto l’unico a non cedere alle lusinghe. No, grazie, non fa per me. Io sono un uomo Rai. È così per la gente. Nell’immaginario collettivo appartengo a quell’azienda molto più di tanti direttori generali. Sono poi un telespettatore molto attento. Conosco trucchi, compenso e modernità di cui tutti si riempiono la bocca.