Lo scafandro e la farfalla è un pugno nello stomaco, è il tasto che serve per resettare la propria mente da stupidi problemi, che giornalmente noi trasformiamo in insormontabili.
Premetto: io non amo i film drammatici, ancor meno i film con persone malate o morenti, perché sto male con loro. Potete quindi immaginarvi come possa essere stato duro per me guardare un film come Lo scafandro e la farfalla (tratto dall’omonimo romanzo Le scaphandre et le papillon), la storia di un uomo colpito da un ictus, che riesce a comunicare con il mondo che lo circonda solo sbattendo la palpebra dell’occhio sinistro.
Pensare di averlo visto è stato ancora più difficile perché alla fine, prima dei titoli di coda, appare la scritta che testimonia la reale esistenza di Jean Dominique Bauby, l’uomo che, nonostante il grave problema fisico che l’ha colpito, è riuscito a scrivere un libro (dettandolo ad una donna utilizzando un alfabeto, che mette in ordine di maggior utilizzo le lettere, nonché la sua palpebra) e a lasciarci una testimonianza.