Martedì dovrebbe essere annunciato il nuovo direttore generale della Rai, almeno secondo quanto ha dichiarato dal presidente della Rai Paolo Garimberti in occasione della presentazione della copertura della tv di stato per il Giro D’Italia.
Nel frattempo Mauro Masi parla da direttore generale uscente, in un’intervista rilasciata a Il Corriere della sera, e non accetta di essere definito censore e normalizzatore:
La verità è che ho trattato certi “intoccabili” per ciò che veramente sono. Individui che utilizzano la battaglia politica per ottenere più potere e più soldi. Aspirazioni legittime, sia chiaro. Ma ammantare tutto ciò come una lotta per la sopravvivenza della democrazia è irritante. E ridicolo. Mi dispiace che la sinistra Rai e la sinistra politica, dove non mancano autentiche intelligenze, non capiscano tutto questo. Forse perché ne sono prigioniere, e non lo comprendono. Non faccio casi singoli con una sola eccezione in positivo: Milena Gabanelli. Ammetto che ha uno stile diverso. E comportamenti diversi.
Masi non le manda a dire a Michele Santoro che ha fatto gli auguri alla Consap (dove l’ex DG andrà a lavorare in veste di amministratore delegato):
Fa lo spiritoso. Ma non lo era quando l’estate scorsa trattava con me, attraverso un manager esterno specializzato in divi tv ben pagati, un contratto-quadro da 14 milioni di euro per sé, il principale collaboratore, per il regista…
L’ex DG assicura di non aver fatto censura con Fazio e Saviano (“Ma io ho difficoltà a trattare con chi impone prendere o lasciare”), è soddisfatto di Minzolini (“Continuo a ritenerlo un innovatore, un professionista”), conferma che i bilanci della Rai sono disastrosi (“Ma dopo cinque esercizi in passivo, il budget prevede un attivo in bilancio”) e sulla scelta di rimuovere Ruffini da direttore di Raitre dice che non tornerebbe indietro:
Dopo 8 anni di direzione un ricambio è fisiologico. La sinistra non ha accettato un signor ticket professionale: Enrico Mentana al Tg3 e Giovanni Minoli a Raitre. Poi c’è stata la sentenza della magistratura che, con quelle di Santoro, costituiscono un vulnus nella gestione di qualsiasi azienda editoriale. Si impone l’inamovibilità a vita non solo dei semplici dipendenti ma addirittura dei dirigenti apicali.