Ci sarebbero mille modi differenti per parlare dell’ultima opera autoriale di Gus Van Sant, Paranoid Park, e tutti quanti corretti. Io provo per voi a sceglierne uno che vi possa avvicinare al regista, al suo film e farvelo apprezzare.
Con Gus Van Sant alla regia non ci si può quasi mai aspettare un film, ma piuttosto l’analisi di una piccola frazione di vita del protagonista.
Alex, il protagonista, è uno skater sedicenne di Portland, che un giorno si reca da solo a Paranoid Park, uno skaterpark non autorizzato, dopo esserci stato con il suo migliore amico pochi giorni prima. In questo luogo non luogo dove nessuno è pronto ad andare, ci scappa il morto. Alex si sente colpevole della disgrazia e non riesce ad esorcizzare l’accaduto. La polizia indaga.
Gli aspetti più importanti del film sono altri, non la trama: le scelte di regia, il montaggio, le musiche, il casting e soprattutto ciò che sta dietro alla storia principale, cioè un altro spaccato, dopo Elephant, della vita degli adolescenti americani.
Gus Van Sant sceglie di filmare l’intera storia con la classica 35mm alternata ad una più maneggevole super8 per le scene del mondo degli skater. La fusione fra le due riprese crea movimento nel movimento e contrasta con il ritmo lento della narrazione.
Il montaggio unisce momenti spezzettati tra loro, nati dal flashback del protagonista e annulla quasi completamente la temporalità dei fatti e l’importanza del tempo nel film, schiacciando tutto in un unico momento indefinito. Il rallenty tratteggia alcuni momenti del protagonista, non per forza quelli più importanti per lui quanto quelli che possono far riflettere lo spettatore.
Le musiche si mescolano tra di loro (dall’hip-hop al classico, dal punk ai suoni naturali e ai rumori ambientali), anticipano stati d’animo e concorrono a togliere spessore al personaggio che si omologa ad un mondo che gli va stretto, che vorrebbe comprendere e di cui vorrebbe farne parte, ma che in realtà rifiuta perché si sente rifiutato.
Il cast è stato selezionato attraverso MySpace, un modo del tutto originale, che ha reso ancora più realistico il film: gli adolescenti sono adolescenti non solo per la loro fisicità e questo potrebbe già bastare, quanto per la loro reale capacità di essere in empatia con i personaggi.
Lo sfondo del film, il secondo filone narrativo, consiste nei problemi familiari del ragazzo, nella sua paura di rapportarsi con la propria fidanzatina, con il mondo che lo circonda (parla della fame del mondo e della guerra in Iraq, ma non riesce a prendere una posizione. Si rende conto solo che sono tematiche più importanti e grandi di lui).
Concludendo: Alex è un ragazzo americano che vorrebbe affrontare la vita ed esplodere, ma implode interiormente, soffre, si svuota per convivere con le sue colpe, appiattisce, sta sempre in movimento per non pensare, ma pensa troppo. E’ in un labirinto psicologico da cui non è in grado di uscire.
Consigliato a tutti quelli che vogliono pensare. Vincitore del premio speciale del 60° anno del Festival di Cannes.
Un film lento,ma sicuramente coinvolgente.Altro da dire?no!