Il titolo di un film dovrebbe rappresentare il primo spot promozionale del film stesso, inducendo lo spettatore alla curiosità della scoperta. Intitolare una pellicola “L’assassinio di Jesse James per mano del codardo Robert Ford”, significa raccontare il finale della storia, è come guardare un film in compagnia di qualcuno che lo ha già visto. Terribile per i veri patiti di cinema!
Poi si può essere attratti dalla presenza dell’attore protagonista o dalla speranza di poter ammirare un film western, ma resta il peccato del finale svelato, in un titolo esageratamente lungo.
Come il film, del resto: 155 minuti a chiedersi quando il codardo riuscirà finalmente a trovare il coraggio per uccidere l’eroe, permettendoci finalmente di alzarci dalla poltrona per tornare a casa.
La trama dunque è tutta nel titolo: in un giorno d’aprile del 1882, Jesse James, carismatico bandito americano, si riposava nella sua casa in Missouri, scaldandosi al tepore del caminetto acceso. Uno dei suoi scagnozzi, il giovane Robert Ford, gli sparò vigliaccamente alle spalle, accecato dal desiderio di gloria e allettato dalla prospettiva di intascare la taglia.
Se siete abituati ai classici western vecchio stile -quello con pistole da estrarre in una frazione di secondo, duelli sotto il sole, duellanti che si guardano minacciosi- resterete delusi dalla visione di questo film che di classico ha veramente poco.
Dov’è finito l’amore per gli spazi aperti, il fascino del cavaliere romantico, che cavalca triste e solitario verso il tramonto, l’eroe che trionfa? Eppure Brad Pitt, raggiante ed in forma, ce la mette tutta a calarsi nei panni dell’eroe, ma è la contraddizione di fondo che disturba la vista, ossia il fatto di trasformare in mito un codardo.
Ci può stare tutto, in fondo stiamo parlando dell’adattamento del libro omonimo di Rod Hansen, ma almeno fate il favore di non definirlo western.
Da salvare l’interpretazione di Casey Affleck -fratello minore di Ben- che avrebbe meritato, almeno quanto Pitt, il premio come miglior attore al Festival del Cinema di Venezia. Ma avete mai visto un traditore che riceve un premio?
Per il resto, poco da dire su un film arrivato sul palcoscenico internazionale con la pretesa di riscoprire i fasti del grande cinema dei cawboy, per tornare a casa con la pistola scarica. Del resto, che cosa ci poteva aspettare da un regista come Andrew Dominik, abituato a girare spot pubblicitari?
D’accordissimo con la giuria di Venezia che lo ha stroncato in pieno. Deludente.