La tv cerca di porre un argine alla tracimazione di corpi femminili ammiccanti e formosi, che accomuna la programmazione di tutte le emittenti del nostro Paese. Dopo lo stop alle scollature più a parole che nei fatti, dettato tempo addietro dal Consiglio di Amministrazione Rai, in questi giorni la deputata del Pd Giovanna Melandri in commissione di Vigilanza sempre della Rai, ha ottenuto l’istituzione di un osservatorio sulla rappresentazione femminile nel servizio pubblico radiotelevisivo. L’emendamento approvato dal Parlamento si propone di “superare stucchevoli stereotipi che ormai ingolfano i media italiani”.
Guardare ma non toccare, si potrebbe dire, trattenendo l’impeto tipicamente maschile, quando in tv si nota la qualsivoglia subrettina, proporre le proprie grazie con l’intento di far colpo sul funzionario di turno. Di esempi simili a questo ne potremmo fare a bizzeffe, dall’ex di Uomini e Donne ospite di una trasmissione sportiva, dotata di forme extralarge, avvolte a malapena in abiti striminziti, alle più seriose, all’apparenza, giornaliste che non avrebbero nessun motivo, per il ruolo a cui sono assurte, di mostrare simile mercanzia, e non ci venissero a dire che lo fanno perché non hanno modo di dissimulare tutto il ben di Dio di cui la natura le ha dotate! Il proposito di tale osservatorio sarebbe quello di porre un freno alla mercificazione del corpo femminile ormai dilagante, ma sarà davvero cosi?
Fa specie che certe proposte arrivino da un’area che in altri tempi faceva dell’emancipazione femminile una colonna portante, ma ormai è risaputo che le ideologie nel 21mo secolo sono talmente stravolte che chiunque può impossessarsene facendole proprie da destra a sinistra, semmai proprio nella logica del “guardare e basta” di cui sopra, dubitiamo che una simile iniziativa possa essere coronata da una benché minima parvenza di successo. La tv e lo squallore con cui spesso e volentieri va a braccetto sono lo specchio dei nostri tempi, dove alla sostanza si preferisce l’apparenza.
E’ inutile che ci si dibatta nel ricondurre la tv dentro logiche tipiche di 30/40 anni fa perché i costumi, come lo stesso concetto di piccolo schermo, sono cambiati e non sempre in meglio. Finché saranno milioni i telespettatori che attraverso il telecomando sanciranno il successo di trasmissioni dove il momento di punta è la sfilata in abiti intimi, allora serviranno a poco le voci di dissenso, se poi ci mettiamo che certe regole dovrebbero essere esercitate solo in ambito di servizio pubblico allora siamo davvero al paradosso. Le cosiddette tv commerciali potranno proporre abiti succinti a volontà, mentre la Rai dovrà guardarsene probabilmente perdendo risorse e gradimento. Come spesso accade la legge non è uguale per tutti.