In origine c’era la Serie A delle partite domenicali con Rita Pavone che si chiedeva perché la domenica doveva rimanere sempre sola, mentre il suo compagno andava a vedere la partita di pallone.
Ora, presumibilmente il destinatario di quella canzone, l’italiano appassionato di calcio, non lascia sola a casa la consorte, ma monopolizza il telecomando dal sabato pomeriggio alle 18.00 (primo anticipo) alla domenica alle 22.30 (fine posticipo).
Il calciofilo nel tempo si è abituato a seguire la Serie B il sabato e il lunedì, ad avere i turni infrasettimanali e pure la supercoppa italiana giocata in Cina. Da oggi deve abituarsi anche alla partita di calcio delle 12.30 (si comincia con Chievo – Inter) dovendo scegliere se strozzarsi col boccone, mentre la propria squadra del cuore segna o prende un gol, oppure se posticipare l’abitudinario pranzo di quasi due ore.
Il calcio ha bisogno di soldi e accetta di spalmare tutte le partite a qualsiasi orario con la consapevolezza che l’appassionato italiano non rinuncerà ai match per nessun motivo al mondo. Il nostro mondo del pallone ha bisogno di soldi (dagli stadi, vecchi come gran parte della realtà italiana, arrivano briciole) per pagare le proprie star, quelle che poi non ci fanno vincere nulla in Europa.
Da oggi al posto dello spezzatino a pranzo arriva il calcio spezzatino, che verrà proposto come portata principale a milioni di abbonati di Sky e Mediaset Premium. Ciò che potrebbe sembrare un regalo per i tifosi, in realtà è un regalo per i network e di conseguenza per le società di calcio.
A questo punto i casi sono due: o i soldoni pagati dalle televisioni per acquistare i diritti delle partite si trasformano in risultati positivi a livello internazionale oppure ci conviene spegnere la tivù e fare capire ai signori del calcio di cambiare strategia, che intanto noi mangiamo.