Slipstream in gergo informatico è quel termine che indica il procedimento con cui si aggiungono nuove caratteristiche all’interno di un software, mentre in quello letterario indica un genere di narrativa fantastica non facilmente catalogabile per la sua essenza ibrida a metà fra fantascienza e narrativa.
Splipstream – Nella mente oscura di H., dove la H indica l’iniziale di Hopkins, il regista, creatore del soggetto e delle musiche e attore protagonista del film, è tutte e due le suddette definizioni: il film è una storia fantastica, in continuo divenire, dove nulla corrisponde, temporalmente e spazialmente, alla sequenza lineare dei fatti.
Slipstream racconta la storia di uno sceneggiatore, Felix Bonhoeffer, (Anthony Hopkins) che, chiamato a rivedere la sceneggiatura di un B Movie, modificata a piacimento dal regista del film, si trova a vivere sempre in bilico tra la realtà e la fantasia, a convivere con persone e personaggi, fino ad arrivare ad un punto in cui non riesce più a distinguerli.
La pellicola, la terza diretta da Hopkins, a distanza di 12 anni da August, è un vero e proprio flusso di coscienza dello sceneggiatore, che descrive in maniera particolare e caotica, grazie ad uno splendido montaggio il procedimento creativo di uno sceneggiatore: allucinazioni cromatiche (l’auto che nella stessa scena cambia colore), ribaltamenti (l’auto con il muso girato verso destra, nella stessa scena è girata di 180°), ralenti, replay, riavvolgimento delle scene, cambio di impostazione di colore (da colore a bianco e nero), flash di immagini attinenti o a prima vista meno attinenti (Adolf Hitler, l’Iraq, Marylin, Nixon), regola del controcampo bypassata, dialoghi tra personaggi di scene differenti (uno di loro pone una domanda ad un altro nel bar e gli risponde un terzo personaggio che si trova in un ambiente completamente diverso) sono i perfetti mezzi per realizzare le associazioni di idee, le assonanze e i ricordi improvvisi della mente umana, raccontata in una pellicola che a tratti ricorda gli onirici mondi di David Lynch.
A supporto di una trama complicata e intricata (oltre alla storia dello sceneggiatore, c’è parallelamente la storia, più volte modificata, dei suoi personaggi, nonché quella tra loro e il loro creatore, che lo dipingono più di una volta come un bastardo assassino, per la facilità con cui riesce a far morire le sue caratterizzazioni), un cast di prim’ordine: Christian Slater (Ray, un killer psicopatico e poliziotto), Stella Arroyave (la moglie dello sceneggiatore), John Turturro (l’arrogante regista), Michael Clarke Duncan (un attore che personifica uno dei personaggi di Felix) e Kevin McCarthy (che recita la parte di se stesso, dati i continui riferimenti a L’invasione degli ultracorpi).
Concludendo: il film, sebbene abbia nel finale (dopo i titoli di coda, che si riavvolgono talmente veloci da rischiare di provocare crisi epilettiche a chi li guarda) una spiegazione più accomodante e comprensibile per lo spettatore, non è assolutamente facile da seguire a causa della grande attenzione che richiede durante la visione. Affrontare un simile sforzo per arrivare alla fine dell’opera ci può pure stare, ma la non convenzionalità della pellicola è sicuramente il maggior pregio e difetto che la stessa possa avere.
Consigliato solo a coloro, che vogliono provare l’avventura di percorrere attimo dopo attimo i processi mentali di un genio del cinema. Sconsigliato a tutti gli altri, nessuno escluso.
Pellicola interessante ma dispersiva. Cmq complimenti H.
Dante Spinotti montatore del film? Complimenti per la cultura cinematografica dell’autore della recensione.
Per info Dante Spinotti è il direttore della fotografia.
Chiedo venia, l’errore madornarnale non deriva tanto dallla mancanza di cultura cinematografica (per conoscere i ruoli basta guardare su Internet, non serve nemmeno la cultura), ma dalla correzione in fase di bozza, quando è stata cancellato il commento sulla fotografia per lasciar spazio alle spiegazioni dopo i due punti.
Grazie per la segnalazione!
A presto