“Sì alle differenze. No all’omofobia” è lo slogan di uno spot che giace sulla scrivania di qualche dirigente Rai. Messo a punto dal Dipartimento per le pari opportunità di Palazzo Chigi allo scopo di promuovere la “cultura del rispetto”: il rispetto della persona, dei diritti e delle differenze.
“La paura del diverso spesso diventa un automatismo che produce atteggiamenti difensivi che sfociano nella discriminazione. La Campagna, senza retorica, mette in scena normali caratteri connotativi, primi piani di persone autodefinite da un tratto specifico – mancina, rosso di capelli, alto, omosessuale, intonata – unite da un’affermazione sostanziale: “E non c’è niente da dire”. Si legge sulla pagina del dipartimento che presenta la campagna pubblicitaria nel gennaio 2013.
A quanto apprende l’AgenParl la trasmissione dello spot (che potete vedere qui) sarebbe stata bloccata perchè contenente le parole “gay” e “lesbica”, una scelta che per Ivan Scalfarotto deputato del Pd è “incomprensibile”.
“Queste parole non sono parolacce ed è inutile dargli un’accezione negativa. La conoscenza è la base della convivenza. – afferma il deputato che preannuncia all’AgenPar l un’interrogazione parlamentare – La Rai come servizio pubblico dovrebbe essere il primo canale della promozione della convivenza. E’ importante dire le parole con rispetto senza attribuirgli significati che non gli appartengono”.
Ivan Scalfarotto ha fatto un ragionamento corretto, ma purtroppo per l’italiano medio gay e lesbica sono tabù, con la prima utilizzata dall’italiano ignorante o maschilista come dispregiativo (e molti dei cinepanettoni di De Sica ne sono complici). Ricordo che una mia amica mi raccontò della reazione del padre a tavola di fronte alla domanda del fratellino: “Papà, che cos’è una lesbica?“. Il genitore si arrabbiò, con grande stupore del figlioletto che rischiava di interpretare quel termine come una parolaccia. Per fortuna che a spiegare la situazione ci fu la stessa sorella.
A mio parere l‘Italia è pressochè ignorante in materia di omosessualità: siamo ancora ai livelli di “chi fa il maschio, chi la femmina?” quando ci si trova davanti a una coppia gay (ma la colpa è anche di alcune associazioni lgbt che preferiscono isolarsi nel circuito delle serate queer, non garantendo visibilità), la battuta (?) della saponetta spopola in ogni angolo del Belpaese non appena viene arrestato il Fabrizio Corona di turno. E buona parte della Chiesa li condanna a prescindere, elevando i gay a eretici del Duemila. Un giorno arriverà anche per la comunità lgbt un Papa che arrivi a chiedere loro scusa.
Un primo passo tuttavia si potrebbe fare: ricordate il fondamentale ruolo della televisione nell’unificazione linguistica degli Italiani? Questo compito è stato svolto egregiamente – ma forse non in maniera del tutto consapevole – da Mike Bongiorno, con il suo quiz Lascia o raddoppia? L’Italia del dopoguerra aveva un tasso di analfabetizzazione molto elevato e grazie al piccolo schermo – e al cinema, visto che i programmi tv andavano in onda anche da lì, visto l’elevato costo di allora degli apparecchi – gli Italiani abbandonarono progressivamente il dialetto per assumere un italiano standard.
Ecco, con le dovute proporzioni, la tv avrebbe bisogno di un Mike Bongiorno dei gay, un personaggio di grande credibilità che vada nei programmi tv più popolari e meno colti (per esempio Amici, Pomeriggio Cinque, La vita in diretta, Tale e Quale Show) ad istruire quel pubblico poco avvezzo alle tematiche queer. La gente ha bisogno di capire che l’omosessualità non è una malattia nè tantomeno una moda o qualcosa di cui vergognarsi – nei paesini certi pregiudizi sono duri a morire – ma naturalmente per raggiungere obiettivi di tal portata sarà necessario elaborare la giusta scrittura televisiva.
Purtroppo si è perso molto tempo a litigare sui matrimoni gay con l’onorevole di centrodestra o il prete di turno, come se i gay fossero tutti di sinistra e anticlericali. E abbiamo smarrito il contatto con la realtà, un Paese privo di una legge contro l’omofobia, l’unico in un’Europa occidentale che ha ormai approvato in massa il matrimonio egualitario.
E anche la scuola dovrebbe fare il suo compito sin dall’inizio. L’omofobia si combatte con la conoscenza, non tanto con uno spot.