Mentre guardo incuriosito il mio paziente mi torna in mente la Sindrome di Stoccolma, condizione psicologica nella quale una persona sequestrata manifesta sentimenti positivi nei confronti del rapitore. Ha un viso interessante e uno sguardo riflessivo, sono troppo curioso di continuare ad ascoltare quello che ha da dirmi per chiedergli quanti anni ha.
Comunica in modo molto misterioso, a tratti misticheggiante. Vuole e allo stesso tempo non vuole raccontare quello che ha da raccontarmi. Mentre mi parla, vedo che parallelamente elabora, cerca di capire qualcosa, sfruttando il feedback delle sue stesse parole.
Cerca le risposte, e, stremato, si appella alla clemenza mia e di se stesso, quest’ultima rappresentata dalla memoria di fatti i cui contorni sfumati si perdono nel gesticolare del delirio. Far arrabbiare lui può essere difficile quanto far arrabbiare Gandhi.
Ancor prima di iniziare, sento che non caverò un ragno dal buco. Lui si rende conto che sono in difficoltà, e cerca – gesto ammirevole – di fare un passo verso di me sciogliendo il ghiaccio.
Si presenta come John Locke. Penso subito al filosofo, e, non so perchè, mi viene in mente che sarebbe ironico fingere di fare delle sedute con personaggi immaginari, magari proprio con filosofi tipo Locke o Spinoza. Ritorno in me.
La controparte filosofica del mio paziente parla di conoscenza, politica e religione. Nella sua opera di maggior rilievo, il Saggio sull’intelletto umano, Locke espone le sue teorie sulla conoscenza. Anche il mio paziente sembra polemizzare verso il razionalismo cartesiano, per abbracciare concetti più misticheggianti come la fede che sembra provare per qualcosa – non capisco cosa – in modo molto profondo e intenso.
Gli chiedo perché è qui. Mi dice che tutto è cominciato con uno schianto, un incidente aereo. Disturbo post-traumatico da stress, penso subito. Lo si vede dagli occhi segnati, raffreddati più che freddi, che un trauma c’è stato. Lo si vede dalla sedia a rotelle su cui si sposta. Mi dice di esser stanco di porgere l’altra guancia, ma di non sapere come fare a smettere.
Mi racconta di un incidente aereo al quale è sopravvissuto, insieme ad altre persone, e subito mi rendo conto che potrebbe trattarsi di una variante alquanto singolare del DPTS (Disturbo Post Traumatico da Stress), una in cui i sintomi cambiano in positivo la vita della persona.
Mi dice che per un periodo è addirittura riuscito a camminare nuovamente sulle sue gambe. Troppo poco tempo, troppe poche righe per descrivere una storia del disturbo che è la storia di una vita, per concettualizzare un caso che è sinonimo di un’esistenza.
Nulla si crea, nulla si distrugge. Locke ha sacrificato qualcosa per ottenere qualcosa. Presenta un delicato e concreto senso di colpa che manifesta attraverso un’espressione sinceramente contrita, persa nel ricordo di cose lontane, piacevoli, dolorose, nostalgiche.
Mi chiede se ho mai avuto la percezione di perdere di significato. Gli rispondo scuotendo lievemente e confusamente la testa, e mi rendo conto che le parti in gioco nella discussione, nel colloquio, si sono completamente rovesciate.
Il mio paziente mi fa delle domande retoriche, alle quali difficilmente potrei rispondere. Forse mi sbaglio, forse lui è un simulatore bravissimo, ma riesce a dare perfettamente l’impressione di aver camminato.
Mi racconta di aver perso il padre, ma in un senso più definitivo di quello tradizionale. Mi rendo conto che la perdita della capacità di stare in piedi è solo una metafora di ciò che John ha perso quando ha perso suo padre. Un equilibrio che non è solo fisico, un equilibrio psico-affettivo che con grande difficoltà riesce anche solo a ricordare.
Mi dice che per trovare il senso è arrivato ad accettare di perdere tutto, il passo successivo alla rassegnazione, a sua volta successivo alla disperazione. La forza e il coraggio gridano stremati, ancora vivi, incatenati in qualche sua profondità.
Mi dice che a volte due cose sono condannate l’una all’altra. Lui ad alternare gioia e senso di privazione, io a capire e non capire quello che succede nella sedia di fronte alla mia. Rimane in silenzio piangendo per molti minuti prima di salutarmi.
bellissima analisi su Locke!
tutto merito di Locke!!
Bella analisi (come sempre del resto) ma mi piacerebbe vedere una revisione della seduta aggiornata alla quarta stagione, dove emergono più marcatamente tratti come l’ossessione e, a mio parere, la follia (a prescindere dal fatto che alla fine abbia ragione o no). Non conosco ancora la risposta (non ci siamo ancora arrivati) ma non sono sicuro che scegliere strade illogiche, pericolosissime e soprattutto prime di qualsiasi piano e dettate solo dalla necessità di soddisfare la propria curiosità, giustifichi un eventuale e soprattutto casuale esito positivo delle proprie azioni.
Enrico, se fossi stato in te, gli avrei prescritto un bel “Trattamento Sanitario Obbligatorio” e lo avrei internato A VITA!
Sono stato un po’ troppo duro? 😀
Ciao a tutti.
Sempre più forte leggere queste analisi!idea geniale!
davvero nient’altro da aggiungere…