La situazione degli attori in America è ancora in stallo, tanto che mentre internamente al sindacato si prova a estromettere Doug Allen, lui intanto sta cercando qualche soluzione per contrattare con l’AMPTP e per salvare il suo posto.
Iniziamo a vedere il muro contro muro tra Allen e i moderati, partendo dal capo: lui accusa la fazione opposta di aver compromesso la strategia di sciopero (ormai inutile, perché spaccherebbe definitivamente la Sag) e annuncia che farà votare il contratto proposto dalle majors ai membri votanti, dopo averglielo mostrato con tanto di pro e contro, per sperare che l’AMPTP, apprezzando una parziale apertura, aumenti l’offerta.
I moderati rispondono ribadendo che la Sag prima di tutto deve cambiare il proprio capitano e la propria direzione, anche perché con una situazione simile è difficile che i produttori vogliano risedersi al tavolo delle trattative, temendo di dover poco dopo ricominciare da capo con un’altra persona.
Rincara la dose Paul Christie, ex presidente del board di New York, che non le manda a dire ad Allen (un uomo che viene pagato mezzo milione di dollari l’anno e che ha fatto perdere al sindacato 46,5 milioni di dollari):
Allen sta mentendo ai membri di nuovo: la divisione non è sul contratto ma è su di lui, che dovrebbe solo farsi da parte.